7 febbraio 2010

Tutto il dolore di un continente



“Giuseppe Carrisi non è un attore” (“e si vede!”, aggiungerebbe una penna maligna): è la battuta con cui ha inizio Abusi d’Africa, lo spettacolo-reportage scritto dal documentarista calabrese insieme con Fabrizio Cassanelli, Alessandro Garzella e Francesco Niccolini, che ne firmano anche la regia.
Dopo aver tratto dalla sua personale esperienza un libro – Tutto quello che dovresti sapere sull’Africa e che nessuno ti ha mai raccontato – e un video, dal titolo Voci dal Buio, Carrisi decide di usare una piattaforma teatrale e una modalità spettacolare per esporre i contenuti di un’inchiesta giornalistica nata da un decennio di viaggi nel continente africano. Si tratta di un procedimento non più atipico ed anzi recentemente diffusosi anche nel panorama teatrale italiano. Ma è altresì un’operazione che pone un problema sostanziale di ricezione, che provo brevemente a riassumere: come mezzo di comunicazione, il teatro garantisce una partecipazione che ha un’ampiezza piuttosto limitata e non molto accreditata, poiché è consuetudine dello spettatore percepire un filtro tra sé e l’opera. La stessa distanza che permette e innesca la finzione teatrale (l’immersione in un mondo fittizio, drammatizzato per l’appunto, a cui credere per la durata dello spettacolo) è anche quella che guasta o compromette l’autenticità del contenuto, quel valore di verità che siamo invece disposti ad accordare alla televisione o alla stampa. Per evitare la percezione di questa distanza la creazione scenica può affidarsi alla forma, più che consueta, del teatro di narrazione: nel rispetto di un codice linguistico condiviso e di posizioni morali standardizzate, l’attore-narratore si fa forte di una comunicazione diretta, affabulatoria ma anche statica e passiva, in certa misura.

Abusi d’Africa non fa uso né della narrazione né della drammatizzazione, preferendo una forma ibrida, che coniuga in maniera interessante mezzi differenti, sovrapponendoli o affiancandoli: materiali sonori (interviste in diretta, canzoni, rumori e voci fuori campo), reperti audio e video, e soprattutto il racconto biografico del protagonista, che si improvvisa attore, supportato in scena da validi comprimari, Letizia Pardi, Valentina Grigò e Matar Ndiaye.
A questo punto, tuttavia – e qui subentra il secondo problema di ricezione – è indispensabile dividere le considerazioni, profondamente etiche e politiche, che conseguono alla visione dei materiali documentari presentati, da quelle relative alla creazione scenica. Se le prime, che è inopportuno affrontare in questa sede, chiamano in causa l’appartenenza a una comunità e la disponibilità a occuparsi dei problemi sociali, le seconde devono rispondere per quanto possibile a un criterio di obiettività, che permetta di valutare l’efficacia e la qualità artistica delle soluzioni scelte. A proposito di queste soluzioni l’aspetto che appare più evidente (e che a mio avviso esaurisce l’intera recensione) è che la recitazione lenta, monotona, quasi compiaciuta, inquadrata in una cornice scenografica scarna, fatta di pochi elementi di legno chiaro, rende Abusi d’Africa un prodotto per così dire “primitivo” e “melodrammatico”: due aggettivi che non vogliono esprimere un giudizio di valore ma connotare il metodo con cui è stato realizzato il lavoro. Metodo primitivo perché non raffinato: la narrazione e le immagini che la rinforzano sono infatti ipervisibili e non evocative, trasparenti nella loro “oscenità” e insistentemente alla ricerca di un effetto scioccante, impressionante; e metodo melodrammatico per come risolve la struttura compositiva e l’esposizione dei materiali, attraverso stadi successivi ben riconoscibili: la purezza violata (quella dei bambini assoldati per uccidere, delle donne violentate, dei territori sfruttati); il riconoscimento delle forze del Bene e l’opposizione con quelle del Male; la sopportazione di indescrivibili atrocità, che precede la promessa di un avvenire migliore.

Circa un’ora di spettacolo, applaudito come si conviene, sabato 6 febbraio al Teatro Rossini di Pontasserchio.


Abusi d’Africa
con Giuseppe Carrisi, Letizia Pardi e la partecipazione di Valentina Grigò e Matar Ndiaye
scene Fabrizio Cassanelli
immagini tratte da video realizzati da Giuseppe Carrisi, elaborate da Tommaso Buquicchio e Valentina Grigò
voce fuori campo Francesca Della Monica
luci Maurizio Coroni, Giuliano De Martini
allestimento Luigi Di Giorno, Davide Maltinti
suoni Matteo Ciardi, Massimo Michelotti
tecnici Marco Bagnai
assistente alla regia Consuelo Scopelliti

da Pisanotizie.it, 7 febbraio 2010