“Giuseppe Carrisi non è un attore” (“e si vede!”,
aggiungerebbe una penna maligna): è la battuta con cui ha inizio Abusi
d’Africa, lo spettacolo-reportage scritto dal documentarista calabrese insieme
con Fabrizio Cassanelli, Alessandro Garzella e Francesco Niccolini, che ne
firmano anche la regia.
Dopo aver tratto dalla sua personale esperienza un libro –
Tutto quello che dovresti sapere sull’Africa e che nessuno ti ha mai raccontato
– e un video, dal titolo Voci dal Buio, Carrisi decide di usare una piattaforma
teatrale e una modalità spettacolare per esporre i contenuti di un’inchiesta
giornalistica nata da un decennio di viaggi nel continente africano. Si tratta
di un procedimento non più atipico ed anzi recentemente diffusosi anche nel
panorama teatrale italiano. Ma è altresì un’operazione che pone un problema
sostanziale di ricezione, che provo brevemente a riassumere: come mezzo di
comunicazione, il teatro garantisce una partecipazione che ha un’ampiezza
piuttosto limitata e non molto accreditata, poiché è consuetudine dello
spettatore percepire un filtro tra sé e l’opera. La stessa distanza che
permette e innesca la finzione teatrale (l’immersione in un mondo fittizio,
drammatizzato per l’appunto, a cui credere per la durata dello spettacolo) è
anche quella che guasta o compromette l’autenticità del contenuto, quel valore
di verità che siamo invece disposti ad accordare alla televisione o alla
stampa. Per evitare la percezione di questa distanza la creazione scenica può
affidarsi alla forma, più che consueta, del teatro di narrazione: nel rispetto
di un codice linguistico condiviso e di posizioni morali standardizzate,
l’attore-narratore si fa forte di una comunicazione diretta, affabulatoria ma
anche statica e passiva, in certa misura.
Abusi d’Africa non fa uso né della narrazione né della
drammatizzazione, preferendo una forma ibrida, che coniuga in maniera
interessante mezzi differenti, sovrapponendoli o affiancandoli: materiali
sonori (interviste in diretta, canzoni, rumori e voci fuori campo), reperti
audio e video, e soprattutto il racconto biografico del protagonista, che si
improvvisa attore, supportato in scena da validi comprimari, Letizia Pardi,
Valentina Grigò e Matar Ndiaye.
A questo punto, tuttavia – e qui subentra il secondo
problema di ricezione – è indispensabile dividere le considerazioni,
profondamente etiche e politiche, che conseguono alla visione dei materiali
documentari presentati, da quelle relative alla creazione scenica. Se le prime,
che è inopportuno affrontare in questa sede, chiamano in causa l’appartenenza a
una comunità e la disponibilità a occuparsi dei problemi sociali, le seconde
devono rispondere per quanto possibile a un criterio di obiettività, che
permetta di valutare l’efficacia e la qualità artistica delle soluzioni scelte.
A proposito di queste soluzioni l’aspetto che appare più evidente (e che a mio
avviso esaurisce l’intera recensione) è che la recitazione lenta, monotona,
quasi compiaciuta, inquadrata in una cornice scenografica scarna, fatta di
pochi elementi di legno chiaro, rende Abusi d’Africa un prodotto per così dire
“primitivo” e “melodrammatico”: due aggettivi che non vogliono esprimere un
giudizio di valore ma connotare il metodo con cui è stato realizzato il lavoro.
Metodo primitivo perché non raffinato: la narrazione e le immagini che la
rinforzano sono infatti ipervisibili e non evocative, trasparenti nella loro
“oscenità” e insistentemente alla ricerca di un effetto scioccante,
impressionante; e metodo melodrammatico per come risolve la struttura
compositiva e l’esposizione dei materiali, attraverso stadi successivi ben
riconoscibili: la purezza violata (quella dei bambini assoldati per uccidere,
delle donne violentate, dei territori sfruttati); il riconoscimento delle forze
del Bene e l’opposizione con quelle del Male; la sopportazione di indescrivibili
atrocità, che precede la promessa di un avvenire migliore.
Circa un’ora di spettacolo, applaudito come si conviene,
sabato 6 febbraio al Teatro Rossini di Pontasserchio.
Abusi d’Africa
con Giuseppe
Carrisi, Letizia Pardi e la partecipazione di Valentina Grigò e Matar Ndiaye
scene Fabrizio
Cassanelli
immagini tratte da
video realizzati da Giuseppe Carrisi, elaborate da Tommaso Buquicchio e
Valentina Grigò
voce fuori campo
Francesca Della Monica
luci Maurizio
Coroni, Giuliano De Martini
allestimento Luigi
Di Giorno, Davide Maltinti
suoni Matteo
Ciardi, Massimo Michelotti
tecnici Marco
Bagnai
assistente alla regia
Consuelo Scopelliti
da Pisanotizie.it, 7 febbraio 2010