La fretta di chiudere un pezzo
induce spesso il recensore a lasciare da parte le finezze della sintassi e a
procedere con fare compilativo nel tentativo di restituire tutti gli aspetti e
le cadenze di un’opera. Ma per uno spettacolo come Hamlice perfino questo progetto sembra troppo ambizioso, tali e
tanti sono i soprassalti, le trepidazioni, le deviazioni, i momenti di
stordimento che si dovrebbero elencare per non tradire quanto si è visto. A
cominciare dalla procedura con la quale si accede all’interno del
penitenziario, che anche allo spettatore più disincantato non può non apparire
come un cerimoniale voraginoso.
Dopo i primi minuti il respiro,
che si era accorciato per il caldo, l’attesa e l’emozione, si riprende, si fa
largo, si gonfia del vento di immaginazione che circola nel cortile interno
dove i protagonisti di Amleto si
presentano, cantando o danzando come in un teatro di corte, mentre Armando
Punzo nelle vesti di narratore comincia a declamare frammenti della tragedia in
una sorta di preludio solenne scandito dall’abbattersi di enormi pilastri di
polistirolo. Oltrepassato l’ultimo diaframma, quello che ancora separava
l’aperto dal chiuso, si è guidati in uno stretto corridoio che si affolla, si congestiona,
si fa claustrofobico laboratorio alchemico. Qui il testo del dramma
shakespeariano, su fogli bianchi scritti a mano, tappezza interamente il
percorso come carta da parati, sopra, sotto, di lato, sicché non si può che
leggerne le frasi insieme a Punzo, che ne fa quasi una salmodia, ripetuta e
amplificata; in continuo movimento gli spazi sonori si incrociano e accavallano,
l’osmosi di voci, rumori, melodie suonate al pianoforte è riversata dagli occultati
altoparlanti.
Come nello spettacolo
dell’anno scorso (di cui questo rappresenta una ripresa, con lievi
variazioni), un’Alice svolazzante e impertinente prende per mano gli spettatori
e li dirotta da una stanza all’altra, come dovesse riempire ogni abisso e
portare ciascuno a conoscenza delle mutazioni che vi hanno luogo. Alcuni
detenuti, i cui abiti portano impresse ancora le parole di Amleto, esercitano
il loro mimetismo scivolando lungo le pareti, con andamento cieco e
inespressivo, altri dialogano sommessamente, bisbigliano presso un tavolino da
trucco, altri gridano, in italiano o nel loro dialetto, la loro personale
interpretazione di Alice, di Amleto e non solo: resto in punta di lacrime
quando uno di essi quasi mi grida, occhi negli occhi, le parole sconcertanti di
Notre-Dame-des-fleurs, l’antiromanzo che
Genet ha dedicato agli uomini che portano “il sacro segno dei mostri”. Altri
ancora, paggi o drag queen, servi o travestiti, intraprendono una sfilata
ironica e inquietante, modulando “in crescendo” la loro parte (una recensione a
parte meriterebbero i costumi di scena, sofisticati e chiassosi, insieme alla
truccatura che segna ancora di più certi sguardi affilati, certe beffarde
espressioni).
Non esiste narrazione, come non
esiste un centro: catene di relazioni e suggestioni fanno smarrire ogni
direzione, finché, riuscendo sul piazzale, superflua ogni
ragione, qualcosa sembra sciogliersi, la bolgia
s’acquieta e rasserena; tutti gli spettatori sono chiamati a gettare in aria
lettere di polistirolo, “per formare nuove parole, nuove frasi, nuove
immagini”, e salutare la compagnia della Fortezza prima che intraprenda il
viaggio di ritorno.
Come spiega Punzo Amleto e Alice
raccontano, seppure con registri differenti, due modi di negarsi alla vita, di
evitarne gli oneri e le responsabilità, ma soprattutto due modi di trasformarsi:
«La trasformazione è la possibilità di sottrarsi al proprio ruolo definito per
sempre». Ed è sempre un’esperienza cupa e violenta,
capace di provocare qualcosa di simile a una vertigine, esattamente come questo
spettacolo.
Nel
pomeriggio di lunedì 26 luglio 2010, nella Casa di Reclusione di Volterra.
Hamlice – Saggio sulla fine di una civiltà
drammaturgia e regia Armando Punzo
con i detenuti attori della Compagnia della Fortezza
scene Alessandro Marzetti
costumi di scena Emanuela Dall’Aglio
musiche originali Andrea Salvadori
movimenti di scena - coreografie Pascale Piscina
disegno luci Andrea Berselli
suono Alessio Lombardi
da Pisanotizie.it. 27 luglio 2010