29 gennaio 2010

Gli ultimi giorni di Chanel



Bernard-Marie Koltès non è autore tra i più frequentati dai nostri teatranti. I suoi sono testi angolosi, misteriosamente irrazionali, difficili da recepire e mettere in scena. Dobbiamo considerare quindi come una singolare coincidenza (da attribuire forse alla recente ricorrenza dei vent’anni dalla scomparsa) il fatto che nella stessa stagione due compagnie diverse abbiano lavorato sullo stesso testo, peraltro uno di quei lavori rimasti incompiuti alla morte del drammaturgo francese.
I primi arrivati su Coco (tra un mese vedremo a Buti la versione diretta da Alessio Pizzech e Dario Marconcini), nella fluida traduzione di Luca Scarlini, sono i bolognesi Teatrino Giullare (Giulia Dall’Ongaro e Enrico Deotti), compagnia che in oltre dieci anni di produzioni ha pescato nel repertorio drammaturgico di Beckett, Bernhard, Pinter e Koltès, per l’appunto, dimostrando una significativa preferenza per testi impegnativi e saturi di parole, su cui applicare un filtro rigeneratore.
Coco è, naturalmente, Gabrielle Chanel, la stilista più influente del secolo passato. Ma a differenza dei ritratti che le sono stati recentemente dedicati sul grande e piccolo schermo, la pièce non ha niente di biografico. Nei frammenti che la compongono, tre brevi scene, si legge una variazione sul tema del conflitto servo-padrone, declinato al femminile come nel più celebre Les bonnes di Genet, in cui il personaggio dell’anziana stilista vi compare solo in ragione dell’estremo contrasto che genera col carattere volgare e inelegante della domestica Consuelo.

Tutte e tre le scene sono dialoghi tra le due donne: nella prima Coco, ormai vecchia e bisbetica, rimprovera a Consuelo la sua rozza civetteria; nella seconda le due si rinfacciano crudelmente i torti di una vita trascorsa insieme; nell’ultima Coco, morente, attenua lo scontro e si lascia andare ai rimpianti, quasi implorando la compagnia della serva.
È Giulia Dall’Ongaro, interprete straordinaria, a dar voce a entrambe le donne: arrochita e rabbiosa quella di Coco, cinica e irriverente quella di Consuelo. Ma le due voci – è questa l’invenzione scenica dello spettacolo – giocano a nascondersi, non lasciando mai intuire la loro provenienza. Chanel è un’ombra, poi un manichino, infine una maschera su un corpo sdraiato sotto le lenzuola dell’ultimo letto. Il quadro della scena porta memoria di un atelier, ma reso squallido e disadorno, per via dei fiori morti, dei busti e dei manichini in disordine. Le luci, gialle, fioche, domestiche, funeree, interrompono il buio, accompagnano e talora dirigono il ritmo dei dialoghi.
Nella penombra del palcoscenico c’è infine un pianoforte, lo sgabello è occupato da Arturo Annecchino. La sua musica è come quei giacimenti dalla vena inesauribile; per oltre trent’anni il teatro italiano ed europeo ha attinto al suo stile pianistico sorprendente e raffinato, per l’atmosfera e la ricchezza di sfumature che sa aggiungere. Per Teatrino Giullare Annecchino ha composto una suite luttuosa, impregnata di mezze luci, suonata tra una scena e l’altra come a completare il testo lacunoso o a infondervi un senso ulteriore di fatalità, un presagio di morte ineluttabile. Proprio la morte infatti, come solitudine e rimpianto, come cancellazione del passato (anche di un passato tanto splendente come quello di Chanel) e desiderio tardivo, è il tema decisivo che percorre l’intero spettacolo, nello stato di costante tensione, tipico di Koltès, che Teatrino Giullare cerca di restituire. 

Poco meno di un’ora di spettacolo e applausi purtroppo indecisi al Teatro Rossini di Pontasserchio, venerdì 29 gennaio.


Coco
tre frammenti di un testo rimasto in stato di progetto
di Bernard-Marie Koltès
Una performance interpretata e diretta da Teatrino Giullare
Traduzione Luca Scarlini
Musica originale Arturo Annecchino, Piccola messa da requiem senza parole, eseguita in scena dall'autore.


da: Pisanotizie.it, 1 febbraio 2010