Dovessi nominare tutti i film e spettacoli teatrali che
hanno affrontato negli ultimi anni il mondo del lavoro – dal mobbing alle morti
bianche, dal precariato alla fuga dei cervelli – l’elenco dei titoli
esaurirebbe lo spazio di questa recensione. Si dirà che tale abbondanza dimostra
senza dubbi l’attualità della questione ma è altrettanto vero che il tema
garantisce la possibilità di rinnovare un registro drammatico sempre
funzionante: il patetismo che nasce dalla simpatia per il vinto, per lo
sconfitto, per l’incolpevole vittima di un sistema schiacciante e avvilente.
Il testo di Andrea Bajani, giovane e premiato narratore
romano, non si allontana da un modello visto e sentito più volte, prendendo la
forma di un monologo rivolto agli oggetti e agli indumenti ammucchiati in una
stanza lasciata vuota, testimoni e riflesso di un’esistenza sgretolatasi dopo
il licenziamento. Perso il lavoro perso tutto, in una scontata catena di
abbandoni (moglie e figlio, amici, rispetto). Scontati sono anche i passaggi
del precipizio: il giovane arrivista – il pitone del titolo – che non ha
scrupoli nel sopraffare l’impiegato maturo, il trasloco repentino e beffardo
della moglie, l’impossibilità di rifarsi una vita a 50 anni. Dei 18000 giorni passati
a edificare un presente demolito in poche ore il protagonista – un arrochito Battiston,
che non snatura le sue qualità di interprete delicato e ironico – ricorda gli
ultimi, i peggiori, con toni ora affranti ora illividiti.
Senza troppa originalità, la tragedia domestica dell’uomo tiene
in prospettiva quella, meno privata, del nostro paese, ma non risponde alla
domanda più impegnativa: com’è possibile che sia unicamente il lavoro a
garantire all’individuo una dignità e perfino un’identità, al punto da far
sentire la disoccupazione come il peggiore dei fallimenti?
Fortunatamente la messinscena ha delle qualità che riscattano
la superficialità del testo.
Il disegno luci di Andrea Violato asseconda la tensione del
monologo, per colori e tonalità, trascorrendo dalla tenuità del rimpianto alla
cruda e accecante invettiva; aureolato dietro un velo di tulle, Gianmaria Testa fonde
come in un melologo le sue canzoni dalle sonorità malinconiche nella testura
dello spettacolo, per poi farsi avanti, angelo custode del protagonista, e
intervenire in prima persona come presenza drammatica; la regia di Alfonso
Santagata, infine, misura e modula i passaggi di maggiore accento emotivo,
preoccupata soprattutto di evadere dal riduttivo modello del monologo in
proscenio.
Gli spettatori convinti hanno applaudito dopo 80 minuti di
spettacolo, alla Città del Teatro di Cascina, domenica 27 febbraio.
18 mila giorni - IL PITONE
dal testo originale di Andrea Bajani
dal testo originale di Andrea Bajani
regia Alfonso
Santagata
con Giuseppe
Battiston e Gianmaria Testa
luci Andrea Violato
musiche originali Gianmaria Testa
produzione Fuorivia – Teatro Stabile di Torino
luci Andrea Violato
musiche originali Gianmaria Testa
produzione Fuorivia – Teatro Stabile di Torino
da Pisanotizie, 28 febbraio 2011