La Tempesta diretta da Andrea De Rosa ha aperto
nell’ottobre scorso la seconda stagione del rinnovato San Ferdinando di Napoli.
Per il regista, neo-direttore dello stabile partenopeo, si è trattato di una
scelta ovvia quanto ineccepibile: dirigere, nel teatro che fu di De Filippo,
uno dei testi che Eduardo amava di più e che riuscì a tradurre in dialetto
napoletano poco prima di morire.
A quattrocento anni dalla stesura La Tempesta, come ogni classico che si rispetti, non ha ancora rivelato i suoi segreti. E la possibilità che ciò avvenga diminuisce ad ogni sua messinscena, così come diventa impossibile capire il senso di una conversazione quando più voci si accavallano e si mescolano. Ogni interpretazione parla sopra alle precedenti, le rievoca, le irrobustisce oppure le contraddice, le dissolve. Chi non ha dimestichezza con la fantasia giudicherà questa Tempesta un esercizio inerte e uno spettacolo dimenticabile; e sarà portato perfino a biasimare le frequenti citazioni e i richiami alle arti figurative. Richiami che dimostrano invece, per usare le insuperabili parole di Roberto Longhi, la “perennità sotterranea di certe sorgenti visuali che soccorrono nei momenti decisivi gli assetati d’invenzione”, e che sono un vero allettamento per chi ama le benefiche risonanze tra parole e immagini, in grado di rivitalizzare le une e le altre. Molly Sweeney, una delle ultime messinscene di De Rosa, folgorante per intensità e invenzioni sceniche, non può non riandarvi con la mente. Luce, follia e alterazioni della percezione ritornano in questa lettura shakespeariana dai tratti freudiani: l’illuminazione che fonde palco e platea appena si fa sala (a sipario aperto, come ormai è consuetudine), per poi farsi abbacinante e ospedaliera nella zona del letto; la recitazione di Rolando Ravello, che riporta la deformità di Calibano su un piano psicologico anziché fisico, e dell’intero gruppo di naufraghi, soggiogati psichicamente al potere di Prospero; la simultaneità delle scene, che non viola la rigida unità temporale del testo (peraltro un unicum nel repertorio del Bardo) ma mette in azione tutti i gruppi di personaggi, gli uni all’insaputa degli altri. Miranda (Federica Sandrini) somiglia così a una degente in sottoveste e Ferdinando (Gino De Luca) è il giovane – anzi, ‘o guaglione – che la salverà dall’isteria; Ariel non è un giovane spiritello ma un anziano gentiluomo (Rino Cassano), costretto alla verticalità come un appeso, mentre Calibano è un figlio disadattato tenuto in cattività. Quanto a Prospero, Umberto Orsini ne fa una sorta di ipnotista, osando con intenzione registri vocali differenti e producendo un’atmosfera quasi esoterica, con qualche ammicco metateatrale, prima dell’atteso monologo finale: la rinuncia alla vendetta e alla magia. E nel testo sforbiciato da De Rosa trovano posto, in maniera meravigliosamente disorientante, gli inserti in dialetto prelevati dalla versione eduardiana.
A quattrocento anni dalla stesura La Tempesta, come ogni classico che si rispetti, non ha ancora rivelato i suoi segreti. E la possibilità che ciò avvenga diminuisce ad ogni sua messinscena, così come diventa impossibile capire il senso di una conversazione quando più voci si accavallano e si mescolano. Ogni interpretazione parla sopra alle precedenti, le rievoca, le irrobustisce oppure le contraddice, le dissolve. Chi non ha dimestichezza con la fantasia giudicherà questa Tempesta un esercizio inerte e uno spettacolo dimenticabile; e sarà portato perfino a biasimare le frequenti citazioni e i richiami alle arti figurative. Richiami che dimostrano invece, per usare le insuperabili parole di Roberto Longhi, la “perennità sotterranea di certe sorgenti visuali che soccorrono nei momenti decisivi gli assetati d’invenzione”, e che sono un vero allettamento per chi ama le benefiche risonanze tra parole e immagini, in grado di rivitalizzare le une e le altre. Molly Sweeney, una delle ultime messinscene di De Rosa, folgorante per intensità e invenzioni sceniche, non può non riandarvi con la mente. Luce, follia e alterazioni della percezione ritornano in questa lettura shakespeariana dai tratti freudiani: l’illuminazione che fonde palco e platea appena si fa sala (a sipario aperto, come ormai è consuetudine), per poi farsi abbacinante e ospedaliera nella zona del letto; la recitazione di Rolando Ravello, che riporta la deformità di Calibano su un piano psicologico anziché fisico, e dell’intero gruppo di naufraghi, soggiogati psichicamente al potere di Prospero; la simultaneità delle scene, che non viola la rigida unità temporale del testo (peraltro un unicum nel repertorio del Bardo) ma mette in azione tutti i gruppi di personaggi, gli uni all’insaputa degli altri. Miranda (Federica Sandrini) somiglia così a una degente in sottoveste e Ferdinando (Gino De Luca) è il giovane – anzi, ‘o guaglione – che la salverà dall’isteria; Ariel non è un giovane spiritello ma un anziano gentiluomo (Rino Cassano), costretto alla verticalità come un appeso, mentre Calibano è un figlio disadattato tenuto in cattività. Quanto a Prospero, Umberto Orsini ne fa una sorta di ipnotista, osando con intenzione registri vocali differenti e producendo un’atmosfera quasi esoterica, con qualche ammicco metateatrale, prima dell’atteso monologo finale: la rinuncia alla vendetta e alla magia. E nel testo sforbiciato da De Rosa trovano posto, in maniera meravigliosamente disorientante, gli inserti in dialetto prelevati dalla versione eduardiana.
Un’ora e mezzo di spettacolo senza interruzioni,
seguito da applausi decisi, per La Tempesta, visto al Teatro Verdi
mercoledì 17 febbraio 2010
La Tempesta
di William Shakespeare
adattamento e regia Andrea De Rosa
con Umberto Orsini, Flavio Bonacci, Rino Cassano, Francesco Feletti, Carmine Paternoster, Rolando Ravello, Enzo Salomone, Federica Sandrini, Francesco Silvestri, Salvatore Striano
spazio scenico Alessandro Ciammarughi, Andrea De Rosa, Pasquale Mari
scene e costumi Alessandro Ciammarughi
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
musica Giorgio Mellone
adattamento e regia Andrea De Rosa
con Umberto Orsini, Flavio Bonacci, Rino Cassano, Francesco Feletti, Carmine Paternoster, Rolando Ravello, Enzo Salomone, Federica Sandrini, Francesco Silvestri, Salvatore Striano
spazio scenico Alessandro Ciammarughi, Andrea De Rosa, Pasquale Mari
scene e costumi Alessandro Ciammarughi
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
musica Giorgio Mellone
da Pisanotizie.it, 18 febbraio 2010