Recensire uno spettacolo che va in scena da oltre
sessant’anni, con duemila e passa repliche, esportato, applaudito ed elogiato
in ogni parte del mondo, non ha soltanto un che di pretenzioso, ma può ben
dirsi un nonsenso. Ma spendere qualche parola per il passaggio pisano di una
messinscena storica, cavallo di battaglia del Piccolo Teatro di Milano dal
1947, è un atto senz’altro dovuto.
Per gli storici del teatro, Arlecchino servitore di due padroni ha il pregio di esemplificare
magnificamente la transizione dalla declinante Commedia dell’Arte alla commedia
“riformata”. Per farla breve, nel 1745 Goldoni lavora a Pisa come avvocato, professione
che gli reca, come scrive nelle sue Memorie, “molto onore, molto piacere e molto
proffitto”. Un posto fisso, insomma, che lo tiene lontano per un periodo dalle
incertezze e dalle burrasche della professione teatrale. Ma come rinunciare
alla richiesta di un canovaccio giuntagli dal più celebre Arlecchino del
Settecento, Antonio Sacchi? Mette mano dunque al soggetto propostogli dal
comico, tagliato su misura per i suoi funambolismi, salvo poi riscrivere il
testo “in bella copia” qualche anno dopo, per salvaguardarne l’integrità. Da
allora, ruotando incessantemente su se stessa, la giocosa commedia offre ad
ogni epoca una faccia diversa, una superficie nuova da esplorare. È evidente
che gli spettatori di oggi non possano godere dei lazzi di Arlecchino come ne
godeva la borghesia imbellettata dell’epoca. Nondimeno, l’intraprendenza dei
giovani innamorati (Clarice e Silvio, Florindo e Beatrice) e la grettezza dei
vecchi (il panciuto Dottor Lombardo e l’ossuto Pantalone), gli affilati “a
parte” della servetta Smeraldina, il tartagliare di Brighella e soprattutto le
genuine impellenze e i guizzi fanciulleschi di Arlecchino, letteralmente
posseduto dalla fame, sono cellule di pura e immortale comicità, sia pure
decisamente fané.
La messinscena del Piccolo, nel succedersi delle numerose
edizioni – se ne contano più di una dozzina prima di questa, che per molti
aspetti le riassume e aggiorna – ha sempre conservato, a dispetto della monolitica
tradizione che intende preservare, una levità raffinata e spassosa. Chiunque è
in grado di apprezzare la limpida musicalità del gioco scenico, la gaiezza
quasi mozartiana che ne alimenta lo stile; meditati in ogni posa dall’esigente
regista triestino, i movimenti flessuosi o geometrici dei personaggi possiedono
un ritmo interiore che la disciplina mostrata dagli attori, in un amalgama di
voci educatissime, sostiene senza cedimenti. Quanto al protagonista, aggettivi
come indomito o intramontabile suonano perfino riduttivi per l’ottantenne
Ferruccio Soleri. Il teatro mantiene giovani le sue stelle, si sa, e allora
Soleri, da quando all’inizio degli anni ’60 ereditò il ruolo che per un
decennio fu di Marcello Moretti, saltella tra un palcoscenico e un altro, con
il suo umoroso dialetto veneziano (lui toscano di nascita, in realtà), sempre ingarbugliando
la vicenda e infine risolvendola.
Pantomime, equivoci e scambi d’identità si svolgono in
una scena di assoluta semplicità: una fila di lumini in proscenio, ai piedi di
una pedana chiusa sul fondo da
tendaggi dipinti, uno per ogni ambiente (l’abitazione di
Pantalone, un esterno veneziano e la locanda di Brighella). Buffi gli inserti
metateatrali con gli attori che uscendo di scena rimangono ai bordi della
pedana, commentando l’azione insieme ai musicisti e all’incartapecorito
suggeritore.
Quasi tre ore di spettacolo, diviso in tre atti di eguale
misura, nella replica pomeridiana vista al Teatro Verdi domenica 4 dicembre.
Arlecchino servitore di due padroni
di Carlo
Goldoni
regia Giorgio Strehler
messa in scena da Ferruccio Soleri con la collaborazione di Stefano de Luca
con Ferruccio Soleri, Enrico Bonavera, Giorgio Bongiovanni, Francesco Cordella, Alessandra Gigli, Stefano Guizzi, Pia Lanciotti, Sergio Leone, Tommaso Minniti, Katia Mirabella, Eugenio Olivieri, Stefano Onofri, Annamaria Rossano; e i suonatori Gianni Bobbio, Paolo Mattei, Francesco Mazzoleni, Elisabetta Pasquinelli, Celio Regoli
regia Giorgio Strehler
messa in scena da Ferruccio Soleri con la collaborazione di Stefano de Luca
con Ferruccio Soleri, Enrico Bonavera, Giorgio Bongiovanni, Francesco Cordella, Alessandra Gigli, Stefano Guizzi, Pia Lanciotti, Sergio Leone, Tommaso Minniti, Katia Mirabella, Eugenio Olivieri, Stefano Onofri, Annamaria Rossano; e i suonatori Gianni Bobbio, Paolo Mattei, Francesco Mazzoleni, Elisabetta Pasquinelli, Celio Regoli
produzione
Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
scene Ezio
Frigerio
costumi Franca Squarciapino
luci Gerardo Modica
musiche Fiorenzo Carpi
movimenti mimici Marise Flach
maschere Amleto e Donato Sartori
costumi Franca Squarciapino
luci Gerardo Modica
musiche Fiorenzo Carpi
movimenti mimici Marise Flach
maschere Amleto e Donato Sartori
da Pisanotizie.it, 5 dicembre 2011