28 febbraio 2010

Coco dopo Chanel



Come annunciato circa un mese fa in questa stessa rubrica, Coco, uno dei testi incompiuti di Bernard-Marie Koltès, sarà portato in scena in questa stagione da due compagnie differenti, entrambe le volte con la validissima traduzione di Luca Scarlini.
A fine gennaio il duo bolognese Teatrino Giullare si è esibito al Rossini di Pontasserchio con un allestimento rarefatto e illusivo, affidato alle variazioni timbriche dell’attrice protagonista e ad un raffinato accompagnamento pianistico di Arturo Annecchino. Questo fine settimana ha visto invece il debutto della versione di Dario Marconcini e Alessio Pizzech al Teatro Francesco Di Bartolo di Buti.
La dimensione raccolta e concentrata dello spazio di Buti è ambiente ideale per il racconto degli ultimi giorni di Chanel immaginato da Koltès. I dialoghi tra l’anziana stilista e la domestica Consuelo formano una tensione dialettica in cui si può leggere una variazione sul tema del conflitto servo-padrone, ma in maniera non meno appropriata uno scontro tra due mondi, due classi sociali, due temperamenti. Tre brevi scene compongono la pièce: nella prima (Scena dolce) Coco biasima sgarbatamente la rozza civetteria della domestica, che le risponde a tono; nella seconda (Scena della cattiveria di Consuelo) le due si rinfacciano crudelmente i torti di una vita trascorsa insieme; nell'ultima (una terza scena senza titolo) Coco, morente, si abbandona ai rimpianti, implorando la compagnia della serva. Su questo andamento carico di disequilibri e asprezze di linguaggio, i due registi hanno elaborato una messinscena sdoppiata, in cui il testo è recitato due volte, la seconda a ruoli invertiti, dalle eccellenti attrici Elena Croce e Giovanna Daddi. Due visioni quindi, su due registri diversi, accomunate dallo spessore tetro delle parole di Koltès: affrontate con sicurezza, queste conservano il loro malessere mai anodino, che ha per tema la decadenza senile con le sue roche accuse e i suoi struggenti ricordi. Osserva Dario Marconcini: “Qui non è il mito di Chanel che interessa a Koltès ma piuttosto il suo disfacimento, la sua caduta, il suo degrado, il suo vaneggiare prima della morte; è come nelle tragedie il tema della morte dei re dove la solitudine terribile, pregna di memorie lontane e di sogni, è la sola compagna sulla via del distacco da questa terra”.

Nel primo allestimento (Pizzech) Coco (Elena Croce) è sdraiata su una branda in un stanza disadorna, mentre la domestica ostenta la sua sfiorita sensualità. Graduali passaggi tonali e arie d’opera fanno da giuntura tra le scene (viene dal Giulio Cesare haendeliano l’inizio toccante, Piangerò la sorte mia), in cui la partitura gestuale lascia avvertire la dipendenza reciproca, quasi morbosa, che lega le due donne.
Nel secondo (Marconcini) si ha invece l’impressione che il contrasto tra i corpi sia massimizzato, esaltato da un quadro scenico astrattamente cimiteriale. Coco (Giovanna Daddi) si muove con mollezza instabile recitando un’agonia più irrequieta, mentre Consuelo ha voce ferma e austerità da insegnante di danza vecchio stampo, con tanto di bacchetta e sbarra per esercizi. La macabra ironia del finale irrompe su un sottofondo di canzoni francesi, divergendo dalla prima conclusione, di una gravità antica.
Scene e costumi, realizzati da Leontina Collaceto, aggiungono agli enigmi del testo una nota ulteriore di irresolutezza, di ambiguità, di contraddizione.

Due parti, di trenta minuti ciascuna, per Coco, visto domenica 28 febbraio al Teatro Francesco di Bartolo di Buti, e ripagato con applausi convinti.


Coco
di Bernard Marie Koltès
traduzione Luca Scarlini
regia
Alessio Pizzech
con
Coco - Elena Croce, Consuelo - Giovanna Daddi
regia
Dario Marconcini
con
Coco - Giovanna Daddi, Consuelo - Elena Croce
scene e costumi
Leontina Collaceto

da Pisanotizie.it, 1 marzo 2010