24 ottobre 2011

Soldi liquidi e solidi delitti



Che cos’hanno in comune il rapinatore napoletano Antonio Marigliano detto Eros (Lino Musella) e lo spavaldo trader Geremia Cervello (Paolo Mazzarelli), il cui nome adombra grottescamente quello di Jerome Kerviel (forse qualcuno ricorderà il recente scandalo della più importante banca francese, la Société Generale, costretta a denunciare un passivo miliardario per il quale accusò le avventate speculazioni di Kerviel)? Essi rappresentano la materialità del lavoro (e della sua degenerazione malavitosa) a confronto con le credenziali immateriali del mondo finanziario (e le sue fasulle aperture creditizie). Tuttavia si trovano reclusi nella stessa prigione, alla vigilia di una visita papale che per il primo, responsabile dell’inutile laboratorio di falegnameria del carcere, significa la beffarda benedizione sopra un’esistenza sconfitta, per il secondo l’occasione di evadere e diffondere le sue sconvolgenti rivelazioni.
Come in Figlidiunbruttodio, lo spettacolo che Musella e Mazzarelli hanno presentato durante la rassegna Teatri di Confine un anno fa, si intrecciano in Crack machine due storie e due coppie di personaggi. Muovendosi tra le linee di fuga di una scena costruita per potersi rimodellare rapidamente, i due attori interpretano anche l’avvocato Alberto La Parola, incaricato di corrompere il trader per scagionare la banca da ogni coinvolgimento, e la guardia carceraria Italo Capone, che cerca di soggiogare, anche fisicamente, Eros, forte del potere conquistatosi nell’istituto. Come a dire: due forme differenti, ma ugualmente minacciose, di prepotenza.

Il contatto tra i diversi soggetti, separati in apparenza da un’incolmabile distanza e in realtà vicini nella solitudine, potrebbe dar luogo a un esito retorico, superficialmente condotto su una superficie ironica, se non fosse per la scrittura attentissima dei due attori e autori, in cui le battute possiedono un’intensità aggressiva, che sa comprimere ed espandere la gamma dinamica, e in cui i dialoghi sembrano emergere da un rumore di fondo alienante, carico di detriti sonori: le dediche radiofoniche ai detenuti che occupano le transizioni tra le scene, l’hip-hop brusco e maturo dei napoletani Co’sang, gli echi e i ritmi elettronici di Climnoizer, grondanti sulle voci come a volerle spegnere.
C’è in effetti, oltre alla recitazione accentata e profonda (che schiva il rischio di far scivolare i personaggi nello stereotipo, penetrandone invece la disperata vitalità), una qualità drammaturgica e scenica espressa con artifici teatrali genuini. Come se fosse enunciato da una caustica voce fuori campo, il “messaggio” che traspare contiene in sé il suo contrario, vuole negarsi mentre si afferma, vuole darsi come certezza e al contempo contraddire ogni evidenza.
Per il resto, non c’è bisogno di sottolineare l’attualità del tema, in un periodo in cui tutti possono constatare quanto la società globale sia immiserita dai traffici di pochi. Forse è meno scontato individuare uno dei possibili significati latenti dello spettacolo, quello che Hannah Arendt definì in maniera insuperabile “la banalità del male”: ovvero l’arrendersi di certe persone e certe situazioni agli sviluppi spietati intrecciati dalla Storia, dal Potere, dal Caso.

Un’ora abbondante di spettacolo, visto martedì 25 ottobre nella sala del Cinemateatro Lux.


CRACK MACHINE – Il denaro non esiste
di e con Paolo Mazzarelli e Lino Musella
scene Elisabetta Salvatori
musiche Climnoizer – Co’sang

da Pisanotizie.it, 25 ottobre 2011