22 gennaio 2011

Non c'è gusto a essere innocenti



Costretto da un accidentale quanto ordinario imprevisto (un guasto alla macchina) a chiedere ospitalità presso l’abitazione di un ex giudice, e spinto a rimanere dalla giovane e ammiccante nipote del padrone di casa, il ricco rappresentante Alfred Traps finirà col rimanervi intrappolato. Buon cibo, buon vino, battute di spirito; ma nella sala da pranzo trasformatasi in tribunale (chi possono essere gli ospiti di un giudice in pensione se non un pubblico ministero e un avvocato difensore?) Traps sarà sottoposto a un processo in cui confesserà i propri trascorsi, per niente commendevoli. L’ammissione di colpa arriverà prima della sentenza, spingendolo a far giustizia di sé.
Delle tre versioni a disposizione – il racconto in prosa, il radiodramma e la pièce per il palcoscenico, tutte dello stesso Dürrenmatt – Edoardo Erba ha scelto di lavorare principalmente su quella per la radio, adottando tuttavia il finale della novella e prelevando alcuni passaggi dalla pièce. Si può tutto sommato concordare con questa scelta di elaborazione: considerata la sostanziale somiglianza dei tre testi, «per quanto riguarda le premesse e lo sviluppo del processo», il radiodramma possiede per Erba «un’agilità teatrale e una fedeltà alla novella che la versione teatrale ha un po’ smarrito, ed è quindi più fresco, più vitale». Ne è uscita una drammaturgia alleggerita di molte laboriosità della prosa di Dürrenmatt; affidata alla regia vigile, ironica ma con poche sorprese di Armando Pugliese, e calata in un impianto scenico monolitico, dall’aspetto quasi ecclesiale. 

Se nella versione cinematografica di Ettore Scola (La più bella serata della mia vita, del 1972), Alberto Sordi nei panni di Alfredo incarnò uno dei suoi tanti ritratti di piccolo-borghese, individualista e con punte di megalomania, Gianmarco Tognazzi rimane maggiormente in sintonia con il personaggio: precipita nelle sue stesse confessioni, ma non sprofonda nel senso di colpa e non perde mai una spavalda e forse troppo caricata incredulità (espressa con una non necessaria inflessione settentrionale). I tre uomini di legge (Armando, Bignamini e Cantalupo) si muovono invece con unisona verve istrionesca, nascondendo una moralità fustigatrice nelle pieghe dello scherzo e dell’ebbrezza.
Due considerazioni, per concludere: la prima è che la messinscena di un piccolo capolavoro del pensiero qual è La Panne di Friedrich Dürrenmatt (un racconto di una trentina di pagine, datato 1956) è già un avvenimento memorabile. La seconda considerazione è che, proprio trattandosi di un capolavoro, l’aderenza al registro e alla logica stringente dell’originale è una scelta senza controindicazioni. In questo caso si trattava di rispettare cioè l’atmosfera di verosimile irrealtà e ambigua drammaticità entro i cui confini si muove la vicenda e soprattutto di non tradire l’assunto filosofico del testo: vale a dire l’assoluta relatività della giustizia umana, esecutrice del Caso sovrano prima che di ogni legge morale. Ancor meglio si dirà che non è qui la “banalità del male” a spingere Traps verso la colpevolezza, quanto la banalità del bene a rendergli insopportabile l’innocenza. Una storia ancora possibile, era il sottotitolo della novella: il rischio era da questo spunto si traesse l’incitamento ad attualizzare la vicenda, che deve invece rimanere sospesa, nello spazio e nel tempo, perché possa applicarsi ad ogni esistenza con universale e chirurgica forza astrattiva. Rischio scongiurato.

Circa due ore di spettacolo, suddiviso in due tempi, visto domenica 22 gennaio al Teatro Verdi.


Die Panne – ovvero la notte più bella della mia vita
di Friedrich Dürrenmatt
traduzione Italo Alighiero Chiusano
adattamento Edoardo Erba
regia Armando Pugliese
con Gianmarco Tognazzi, Bruno Armando, Giovanni Bignamini, Franz Cantalupo, Lydia Giordano, Lombardo Fornara
scene Andrea Taddei
costumi Silvia Polidori
disegno luci Angelo Ugazzi
produzione Compagnia delle Indie Occidentali

da Pisanotizie.it, 23 gennaio 2011