Il denaro è potere, secondo un’equivalenza unanimemente accettata.
Ma può anche essere l’appagamento di quella che la scienza psicologica chiama
“ossessione di accumulo”. Nella commedia di Molière “riscoperta” dal Teatro
delle Albe (e riportata in un atto unico), il denaro è lo scopo di una mania asfissiante,
l’oggetto del desiderio, per niente oscuro, di un vecchio possidente, Arpagone,
e dei suoi familiari, congiunti qui non solo dal grado di parentela, ma dall’esser
vittime di un interesse mortificato, coabitanti di una famiglia-bunker senza
affetti né intimità. Sicché i figli, Elisa e Cleante, guardando il padre che conta
e riconta il proprio denaro, organizza matrimoni di convenienza e nega loro
l’aiuto economico di cui avrebbero bisogno, covano desideri repressi che
sfogano soltanto in ossessive ripetizioni, una sorta di coazione a mentire. Quando
un servo deruba Arpagone dell’amata cassetta con i soldi, l’azione si
paralizza, sembra non avere più sbocco, e solo l’entrata in scena di un deus ex
machina (è il ruolo di Anselmo, che il regista, Marco Martinelli, riserva per
sé) è in grado di “officiare” il coup de théâtre che ridà corda alla
vicenda, con tanto di risolutiva agnizione e sbrigativo lieto fine.
L’arredamento è a dir poco disadorno, esteriorizzando una
patologica tendenza all’austerità: pochi mobili dentro una casa in miniatura, chiusa
sui lati da pesanti tendaggi come fosse un set cinematografico, allestito a
vista dagli attori. Gli stessi attori contribuiscono anche al disegno luci, manovrando
i riflettori per creare fasci luminosi inquisitori, spietati nel rivelare il
modo in cui la cattività si trasforma in cattiveria, passando per il più
pernicioso dei peccati capitali.
Di fatto, il lavoro sulla parte audiovisiva è
assolutamente determinante: come le luci, anche i costumi, dalle tinte cupe e
claustrali, e i suoni, pensati in termini di simmetrie, contrasti e
reiterazioni come la punteggiatura di un film muto, rendono l’oggetto scenico un
contenitore impeccabile.
Quanto al testo, la traduzione di Cesare Garboli usata dalle
Albe è straordinaria e poetica, e non tradisce i mezzi toni e le sfumature
dell’umorismo tagliente di Molière. Ma proprio l’affidarsi a un testo così
fedele nuoce al risultato complessivo: nonostante la schiettezza della loquela,
il linguaggio di Molière non ci appartiene, non è odierno, non è verosimile, pertanto
l’opera raffinata di attualizzazione compiuta dalla compagnia si ferma al piano
estetico-figurativo e non incide su quello verbale. Succede così che l’ardita
manipolazione, che avremmo detto rinvigorente e provocatoria, perda forza, facendosi
meno convincente. Chi ha fede nella possibilità di rinascere dei classici (sentimento
che alle Albe non è mai mancato) deve fare in modo che questi imparino la
lingua del mondo che li ospita; che un servo seicentesco indossi piercing e
tuta sbrindellata è una trovata sorprendente, ma se pronuncia frasi come
“prendo congedo”, non posso fare a meno di aggrottare la fronte per la
dissonanza stridente.
Non meno sorprendente è che Arpagone sia interpretato da
una donna (la stregonesca Ermanna Montanari), sia vestito come un mercante
cinese, e manifesti la sua smaniosa taccagneria riversando suoni gutturali in
un microfono, che arriva a far somigliare la sua voce a quella del mostruoso
Gollum della saga del Signore degli anelli. Peraltro, in uno spettacolo che
azzera la componente farsesca e fa delle parole macigni nel silenzio, l’integrazione
di attori storici (come Luigi Dadina, nei panni dell’ambiguo e ironico tuttofare
Mastro Giacomo) e giovani interpreti formatisi nei laboratori risulta
imperfetta proprio per l’immaturità dei secondi dal punto di vista vocale (ma è
interessante l’esito raggiunto da Alessandro Argnani nel figurare la piaggeria
di Valerio, pretendente di Elisa).
Un’ora e quaranta minuti di spettacolo, ben ricompensato
dal pubblico del Teatro Verdi, sabato 21 gennaio.
L’avaro
di Molière
traduzione Cesare Garboli
ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari
regia Marco Martinelli
con Loredana Antonelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Laura Dondoli,
Luca Fagioli, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Marco Martinelli, Ermanna
Montanari, Alice Protto, Massimiliano Rassu, Laura Redaellidi Molière
traduzione Cesare Garboli
ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari
regia Marco Martinelli
spazio Edoardo Sanchi
costumi Paola Giorgi
musiche originali Davide Sacco
luci Francesco Catacchio, Enrico Isola
da Pisanotizie.it, 23 gennaio 2012