4 dicembre 2011

Il mestiere di Arlecchino



Recensire uno spettacolo che va in scena da oltre sessant’anni, con duemila e passa repliche, esportato, applaudito ed elogiato in ogni parte del mondo, non ha soltanto un che di pretenzioso, ma può ben dirsi un nonsenso. Ma spendere qualche parola per il passaggio pisano di una messinscena storica, cavallo di battaglia del Piccolo Teatro di Milano dal 1947, è un atto senz’altro dovuto.
Per gli storici del teatro, Arlecchino servitore di due padroni ha il pregio di esemplificare magnificamente la transizione dalla declinante Commedia dell’Arte alla commedia “riformata”. Per farla breve, nel 1745 Goldoni lavora a Pisa come avvocato, professione che gli reca, come scrive nelle sue Memorie, “molto onore, molto piacere e molto proffitto”. Un posto fisso, insomma, che lo tiene lontano per un periodo dalle incertezze e dalle burrasche della professione teatrale. Ma come rinunciare alla richiesta di un canovaccio giuntagli dal più celebre Arlecchino del Settecento, Antonio Sacchi? Mette mano dunque al soggetto propostogli dal comico, tagliato su misura per i suoi funambolismi, salvo poi riscrivere il testo “in bella copia” qualche anno dopo, per salvaguardarne l’integrità. Da allora, ruotando incessantemente su se stessa, la giocosa commedia offre ad ogni epoca una faccia diversa, una superficie nuova da esplorare. È evidente che gli spettatori di oggi non possano godere dei lazzi di Arlecchino come ne godeva la borghesia imbellettata dell’epoca. Nondimeno, l’intraprendenza dei giovani innamorati (Clarice e Silvio, Florindo e Beatrice) e la grettezza dei vecchi (il panciuto Dottor Lombardo e l’ossuto Pantalone), gli affilati “a parte” della servetta Smeraldina, il tartagliare di Brighella e soprattutto le genuine impellenze e i guizzi fanciulleschi di Arlecchino, letteralmente posseduto dalla fame, sono cellule di pura e immortale comicità, sia pure decisamente fané

La messinscena del Piccolo, nel succedersi delle numerose edizioni – se ne contano più di una dozzina prima di questa, che per molti aspetti le riassume e aggiorna – ha sempre conservato, a dispetto della monolitica tradizione che intende preservare, una levità raffinata e spassosa. Chiunque è in grado di apprezzare la limpida musicalità del gioco scenico, la gaiezza quasi mozartiana che ne alimenta lo stile; meditati in ogni posa dall’esigente regista triestino, i movimenti flessuosi o geometrici dei personaggi possiedono un ritmo interiore che la disciplina mostrata dagli attori, in un amalgama di voci educatissime, sostiene senza cedimenti. Quanto al protagonista, aggettivi come indomito o intramontabile suonano perfino riduttivi per l’ottantenne Ferruccio Soleri. Il teatro mantiene giovani le sue stelle, si sa, e allora Soleri, da quando all’inizio degli anni ’60 ereditò il ruolo che per un decennio fu di Marcello Moretti, saltella tra un palcoscenico e un altro, con il suo umoroso dialetto veneziano (lui toscano di nascita, in realtà), sempre ingarbugliando la vicenda e infine risolvendola.
Pantomime, equivoci e scambi d’identità si svolgono in una scena di assoluta semplicità: una fila di lumini in proscenio, ai piedi di una pedana chiusa sul fondo da
tendaggi dipinti, uno per ogni ambiente (l’abitazione di Pantalone, un esterno veneziano e la locanda di Brighella). Buffi gli inserti metateatrali con gli attori che uscendo di scena rimangono ai bordi della pedana, commentando l’azione insieme ai musicisti e all’incartapecorito suggeritore.

Quasi tre ore di spettacolo, diviso in tre atti di eguale misura, nella replica pomeridiana vista al Teatro Verdi domenica 4 dicembre.


Arlecchino servitore di due padroni
di Carlo Goldoni
regia Giorgio Strehler
messa in scena da Ferruccio Soleri con la collaborazione di Stefano de Luca
con Ferruccio Soleri, Enrico Bonavera, Giorgio Bongiovanni, Francesco Cordella, Alessandra Gigli, Stefano Guizzi, Pia Lanciotti, Sergio Leone, Tommaso Minniti, Katia Mirabella, Eugenio Olivieri, Stefano Onofri, Annamaria Rossano; e i suonatori Gianni Bobbio, Paolo Mattei, Francesco Mazzoleni, Elisabetta Pasquinelli, Celio Regoli
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
scene Ezio Frigerio
costumi Franca Squarciapino
luci Gerardo Modica
musiche Fiorenzo Carpi
movimenti mimici Marise Flach
maschere Amleto e Donato Sartori

da Pisanotizie.it, 5 dicembre 2011