29 giugno 2010

Per amor di ... matria



Presentato in anteprima al Napoli Teatro Festival nella sezione Fringe, debutta a Buti a chiusura della rassegna Piccoli Fuochi il nuovo spettacolo di Paola Marcone, una riscrittura del mito di Medea e del suo duetto mortale con Giasone. Dopo Passio Mariae (2008) e Histoire de ma mort (2009), l’autrice, regista e attrice conclude la trilogia Corpo Patiens, esplorazione drammaturgica e scenica del tema della scelta come individuazione della propria identità e del proprio corpo.
Qui Giasone (Marco Brinzi), nelle vesti americanizzate del soldato bambinone Jason, è combattuto tra due amplessi letali: da una parte il gioco della guerra (virilità, disciplina, amor patrio), dall’altra la tentazione di una Medea in versione playmate (Paola Marcone). Preferirà il primo ma, come da tradizione letteraria, sarà sopraffatto dalla seconda. La storia dei due, all’inizio attualizzata come una infantile schermaglia erotico-bellica su un tavolo da Risiko, si concluderà con la ferale punizione del figlicidio commesso dalla madre sotto gli occhi del padre.
Se lo spettacolo, qui offerto sotto forma di studio, non può dirsi ancora del tutto convincente non è per la simbologia, che allude con efficacia al riferimento mitologizzato della guerra del Vietnam, osservata con il filtro della filmografia americana anni Novanta (Platoon, Forrest Gump, Full Metal Jacket, ecc.): la “chiamata alle armi” che persuade Giasone proviene da una insistente voce fuori campo – quella di Dario Marconcini – marziale, severa e alienata, mentre le scelte musicali, come la conclusiva Rain and Tears dei greci Aphrodite’s child, appartengono al periodo della contestazione hippie; non è nemmeno per l’apparato audiovisivo, ben funzionante, con luci indovinate che fanno corposo e dorato (l’oro delle armi e delle vesti greche) il palcoscenico-campo di battaglia, accessori e costumi preziosi (prestito della Fondazione Cerratelli) e uno spazio sonoro costruito con precisione. E non fallisce neppure la recitazione di Brinzi (visto ultimamente nel Così è (se vi pare) di Castri) e della Marcone, che hanno tenuta e decisione, sia pure con qualche dinamica da rivedere.
La debolezza è piuttosto al livello della scrittura, che non riesce a dare profondità e sensi ulteriori a una semplificazione critica che vuole Medea implacabile e vendicatrice in nome del segno femminile: la donna e madre della Marcone prima afferma la propria sensualità (ma qui l’intenzione parodica ha il fiato corto), poi sceglie la violenza e l’infanticidio non tanto per la dismisura di un amore tradito, ma come extrema ratio per dominare il segno maschile, nel tentativo di negare a Giasone (e per estensione all’umanità tutta) la prosecuzione di una stirpe destinata alla brutalità militare. Con questo volendo anche affermare il ripudio della pulsione verso la guerra, nel suo essere attributo puramente virile.

Cinquanta minuti di spettacolo e consensi misurati per Mister Jason & Lady Medea, visto al Teatro Francesco di Bartolo di Buti martedì 29 giugno 2010.


Mr. Jason & Lady Medea
(primo studio)
drammaturgia e regia Paola Marcone
con Marco Brinzi e Paola Marcone
voci di Dario Marconcini
ambientazione sonora Fabio Bartolomei
costumi Fondazione Cerratelli
allestimento scenico Riccardo Gargiulo
organizzazione Gilda Deianira Ciao

da Pisanotizie.it, 30 giugno 2010

3 giugno 2010

Il potere è roba da matti



Nel programma del festival Metamorfosi. Teatro Politico, complesso e necessario, per dirla con le parole del suo ideatore Alessandro Garzella, fanno spicco diversi titoli e numerose novità assolute. Naturalmente un festival che si vuole politico non può che accettare, e forse anche desiderare, le determinazioni semantiche assai sfumate che l’aggettivo assume tipicamente. Può capitare pertanto di assistere, nella stessa sera, a due spettacoli completamente differenti, per struttura, registro e interpretazione del tema. Gli spettacoli in questione sono Quanto mi piace uccidere (storia di un politico toscano) e Magnificenza del terrore (Omaggio scenico ad Antonin Artaud, a oltre 60 anni dalla morte).
Il primo proviene dal connubio rinnovato tra due compagnie radicate in Toscana, i senesi Egumteatro (Annalisa Bianco e Virginio Liberti, autori del testo e registi) e i fiorentini Gogmagog (qui rappresentati dal solo Tommaso Taddei, interprete unico), che finalizzano un nuovo progetto teatrale comune dopo l’eccellente trittico pirandelliano Questa sera si recita la nostra fine.
Quanto mi piace uccidere è un monologo pronunciato da un giovane ed elegante parvenu: l’attacco, a luci aperte, è quello di un tipico discorso di insediamento, ironicamente ricalcato sull’enfasi vuota del linguaggio della politica. Immediatamente, ma non inaspettatamente (il contegno nervoso dell’autopresentazione lasciava prevedere qualcosa), la tirata del neo-deputato vira verso una deriva psicopatica, in cui lo strazio di una psiche malata racconta e spiega lo strazio di una violenza cannibalesca perpetrata sugli animali, sulle donne, sui bambini. Con l’asciutta e a tratti ridicola oggettività della cronaca nera, il testo si trasforma in una poesia macabra, che richiede una pronuncia serrata, rapidissima, trascinando con sé un circuito di verboso delirio, versificato in modo compiaciuto tra allitterazioni, assonanze e insistite figure retoriche; ma Taddei ha le spalle abbastanza grosse per sostenere un testo tanto caricato senza alcun aiuto dagli elementi scenici, quasi assenti.

Il secondo spettacolo è una conversazione corale e caotica scritta da Enzo Moscato attingendo ad alcuni testi di Antonin Artaud, testimonianze conclusive e senza speranza, eternate dalla singolarità di un genio prostrato. Sono le ultime lettere, le ultime conferenze (come quella tenuta al Vieux Colombier poco prima di morire, nel 1948), messe in situazione da Moscato e dalla sua compagnia di attori straordinari, o per meglio dire la sua famiglia di attori, che se ne spartisce le frasi, musicandole (non è facile ascoltare una voce più penetrante di quella di Enza Di Blasio), ripetendole, consumandole. La situazione è quella di un consesso di matti, che prende posto sugli spalti di una gradinata di legno: si radunano i potenti del mondo di ogni epoca per la cosiddetta Conferenza delle cavie folli, a metà strada tra una seduta terapeutica e un tribunale inquisitorio. Moscato, a momenti Artaud a momenti Robespierre, con la sua inconfondibile lingua pasticciata, i suoi occhiali scuri, le sue mani sempre svolazzanti, si confonde nel tumulto di un impianto visivo prepotente e rumoroso, saturo della consueta imagerie fatta di costumi caricati fino a sfiorare il grottesco e continui abbassamenti varietistici. Impregnate di umori popolari e coltissimi al tempo stesso, le parole di Artaud sembrano sopravvivere clandestinamente, destinate a una nuova amnesia.

In definitiva, non tutto va a segno in questi spettacoli, benché potenti e immaginosi, tra i quali fa da trait d’union la patente di follia attribuita al potere. Quest’ultimo ha anche altri attributi e il sospetto è che la grana grossa della politica attuale si possa affrontare meglio con la finezza che con l’eccesso.
Visti giovedì 3 giugno nelle sale del Politeama di Cascina.


Quanto mi piace uccidere  
(storia di un politico toscano)
testo e regia di Annalisa Bianco e Virginio Liberti
Egumteatro/Gogmagog
con Tommaso Taddei
produzione Egumteatro/Gogmagog e Festival Metamorfosi La Città del Teatro
Spettacolo sostenuto da Regione Toscana – Sistema Regionale dello Spettacolo

Magnificenza del terrore  
Omaggio scenico ad Antonin Artaud, a 60 anni dalla morte
testo, ideazione scenica, regia Enzo Moscato
con Giuseppe Affinito, Tata Barbalato, Salvatore Chiantone, Agostino Chiummariello, Enza Di Blasio, Gino Grossi, Carlo Guitto, Rita Montes, Enzo Moscato, Gianky Moscato, Peppe Moscato,
Mario Santella, Ferdinando Smaldone.
canto scenico Enza Di Blasio
voce fuori campo Salvio Moscato
costumi e allestimento dello spazio Tata Barbalato
assistente costumi Luciano Briante
ricerche e selezione musicale Giankamos
luci Peppe Moscato
produzione Claudio Affinito

da Pisanotizie.it, 4 giugno 2010