Tra le piacevoli sorprese che incontra un frequentatore di
teatro può capitare quella di trovarsi ad assistere, in una calda serata che molti
ricorderanno per l’eclissi lunare, a uno spettacolo intimo, suggestivo, dalle
tinte misteriose e opalescenti.
C’è una ragazza, dice di chiamarsi Marcelle Dupont e di
essere la figlia di Edith Piaf. Della madre ha la stessa voce graffiata, le
fattezze spigolose, il pallore spiritato. Ma la figlia della cantante della Vie en rose, la vera Marcelle Dupont
(avuta giovanissima da un muratore di nome Louis Dupont), è morta a soli tre
anni per una meningite acuta.
Si dovrà allora credere alla diagnosi rilasciata
dall’istituto psichiatrico dove la ragazza viene internata: Megalomania Delirante
(M. D., precisamente come le sue iniziali). Una degenerazione psicotica, che
convince chi ne soffre di possedere un’identità altra, spesso geniale, potente
o frenetica. La sedicente Marcelle vive così la propria segregazione misurando
la propria diversità rispetto alla presunta integrità dei “sani di mente”, cantando
nelle ore d’aria, trovando conforto nella grottesca conversazione con gli altri
pazienti, sommando ricordi e congetture, tutto ovviamente senza “pentirsi di
niente”.
«Come fosse il luogo di un’allucinazione cosciente», questo
ambiente di reclusione è dunque un non-luogo, uno spazio eterotopico, un varco
oltre il quale si accede a un insieme differente di esperienze, più autentiche
forse. I piani vi si moltiplicano e si riposizionano, agendo da schermo per le illustrazioni
proiettate – assai curate e dal grafismo raffinato – come fossero una
scenografia mentale; il disegno scenico, allo stesso tempo, si riconfigura attraverso
le variazioni luminose e lo spessore dei materiali sonori.
Valentina Grigò, abito scuro e sguardo sperduto di chi non
ha dimora, è sola in scena, ma il palco sul quale si muove è popolato di
fantocci, ombre, oggetti e disegni animati, che lei stessa mette in azione
mentre recita o canta, consumando tutte le sfumature a sua disposizione, dal
grido al soffio, aggressiva e aspra a tratti, indifesa e disarmata in altri
momenti.
Stupisce e alle volte lascia smarriti, ma sempre
positivamente, l’accostamento delle liriche delle canzoni più celebri cantate
dalla Piaf con i riverberi teosofici di Igor Sibaldi, ai cui testi si ispira
parte della drammaturgia. Drammaturgia che talora tende davvero verso un abisso
di alienazione kafkiana o meglio ancora verso la religiosità paranoide di
un’opera come Inferno di Strindberg. Ma più di questi avventati paragoni
descriveranno lo spettacolo le parole spesso autobiografiche e la musica di Mon Dieu, Les roses blanches, Padam…
Padam…, fino al congedo di Non, je ne
regrette rien: sono alcuni dei brani che si riascoltano dalla voce originale
della Piaf, riproposti dalla Grigò oppure proiettati in video, in una pioggia
di lettere che bagna i pannelli scuri della scenografia.
Un’ora e mezzo di spettacolo, visto mercoledì 15 giugno alla
Città del Teatro di Cascina. Una replica prevista per giovedì sera.
M.D. Megalomania Delirante
di Stefano Filippi e Valentina Grigò
di Stefano Filippi e Valentina Grigò
(liberamente ispirato alla vita e alle canzoni di Edith Piaf
e ai testi di Igor Sibaldi)
con Valentina
Grigò
regia Stefano Filippi
regia Stefano Filippi
figure Valerio
Cioni
oggetti di scena Emidio
Bosco e Paolo Grigò
disegno luci
Orlando Bolognesi
musiche Andrea
Serrapiglio e Michela Alberti
da Pisanotizie.it, 16 giugno 2011