Il nastro del tempo si riavvolge questa volta per riproporre
l’opera prima della compagnia lucchese nata dal sodalizio tra la regista Maria
Grazia Cipriani e lo scenografo Graziano Gregori.
Dopo 27 anni fa ritorno uno spettacolo dal sapore antico, che ha girato a lungo,
facendosi apprezzare in molti paesi e forse portandone traccia, e che avvicina
artigianato sapiente e linguaggio coltissimo.
A condurre la narrazione della più che nota fiaba dei
fratelli Grimm (com’è strano, tuttavia, scoprire quanto abbiamo dimenticato
dell’intreccio originale) una voce fuoricampo femminile, accogliente e
accattivante.
A colpire fin da subito sono le preziose scelte musicali
che formano la colonna sonora, sempre ritmicamente allineate con le scene della
fiaba. Il sagace riutilizzo di arie d’opera e suite orchestrali (Puccini, ma
anche Sibelius, Auber, Ivanov), punteggiate o incernierate da una ricca
partitura di suoni e rumori con funzione diegetica, non stupisce chi conosce la
compagnia e sa quanto abbia sempre investito nella costruzione di sofisticati
ambienti sonori. Così sarà il coro muto della Butterfly ad accompagnare la
deposizione del corpo senza vita di Biancaneve, mentre il suo ritorno e la sua
unione col principe saranno salutati dalla marcia nuziale di Mendelssohn.
Un po’ boîte à
surprise un po’ Wunderkammer, la costruzione in legno che fa da scenografia, ospitando
i piccoli burattini, è assai più complessa di quanto appaia a prima vista: custodisce
scomparti insospettabili, specchi che dilatano gli spazi, tendaggi che si
lasciano agitare da una tempesta e congegni meccanici che accelerano danze
vorticose di burattini. L’unica attrice in carne e ossa è nella parte della
matrigna (Elena Nenè Barini, attrice storica del Carretto): in maschera, le sue
pose stregonesche sembrano rievocare le movenze allegoriche di un masque, o gli scatti di una inquietante bambola
meccanica; i suoi tentativi di eliminare l’antagonista sono i momenti di
massima tensione scenica e sovraeccitano il pubblico più giovane. Di fatto, la
matrigna è l’unica ad uscire dall’armadio e ad agire nello spazio antistante,
senza mai interrompere il contatto con quanto sta “all’interno” ed anzi facendo
da terminale prospettico. Dal dentro al fuori gli oggetti infatti cambiano
dimensione, ingigantendosi nelle proporzioni dei burattini (come la mela
avvelenata, manipolata dalla strega in proscenio, che riappare nel teatrino
rotolando fino a schiacciare Biancaneve), o miniaturizzandosi in scala per
trovar posto nella scatola magica. In questo contrasto di universi, di
proporzioni, di taglie, l’artificioso e l’artificiale convivono e fanno
convivere mezzi scenici che pronunciano, come scrive la Cipriani, «verità della
materia e finzione del corpo, elementarità della parola e potenza dei brani del
melodramma». Niente a che vedere con l’insulsa piattezza ammannita dagli
spettacoli per ragazzi; questo teatro, come chiedeva Sergio Tofano nel suo celebre
intervento Recitare per i bambini, riesce
a “comunicare il buon gusto”. Il pubblico della replica pomeridiana, diviso tra
bambini e adulti, sa lasciarsi sorprendere per un’ora.
Biancaneve
adattamento e regia
Maria Grazia Cipriani,
scene e costumi Graziano Gregori
con Elena Nenè Barini
scene e costumi Graziano Gregori
con Elena Nenè Barini
burattinai
Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Jonathan Bertolai
da Pisanotizie.it, 24 dicembre 2010