5 marzo 2010

Scrosci di vita e di parole nel caos della città



Eleonora Danco è un nome abbastanza nuovo per i palcoscenici toscani. Lo è molto meno nella sua Roma, che le riconosce da diverso tempo qualità di attrice e scrittrice (una raccolta di suoi testi, tra cui alcuni scritti per Mario Martone, è stata presentata giovedì scorso nella nostra Facoltà di Lettere e Filosofia, Ero purissima il titolo, per Minimum Fax).

I due lavori portati in scena a Pontasserchio, Me vojo sarvà e Nessuno ci guarda, sono composti di frammenti, monologhi tragicomici in forma di poesia o flusso di coscienza, oppure dialoghi nebulosi senza comunicazione, cortometraggi di una umanità in sofferenza. Il tentativo della Danco, che ne è autrice, regista e interprete unica, è la rappresentazione dell’inquietudine e dell’agitazione a cui siamo consegnati, restituiti con una urgenza espressiva che si arma di movimenti parossistici e che prova a sfogarsi con l’incazzatura della voce. Nelle quattro sequenze in dialetto romanesco di Me vojo sarvà affiora dal profluvio di parole dei personaggi uno stato di paura costante, di repressione e frenesia, di ansia per la violazione dei propri diritti o della propria intimità, di inadeguatezza o di solitudine randagia. Nessuno ci guarda rinuncia invece al dialetto nel dar voce al monologo di una donna, fluttuante tra presente e passato, tra sgorganti ricordi d’infanzia e angusta quotidianità, un va e vieni con andamento cantilenante carburato da stereotipi e ascessi nevrotici.
Purtroppo la solidità della struttura, drammaturgica e scenica, lascia a desiderare nel suo insieme, e per molti aspetti lo spettacolo fa avvertire la mancanza di una direzione in grado di preservare i contenuti, dar loro la misura più corretta, mandarli a bersaglio con le dosi giuste di energia e sorpresa. La colonna sonora è tanto invadente e disordinata da minacciare l’ascolto e l’efficacia del testo; il disegno luci, che dovrebbe lavorare come un marcatore, segnalando le transizioni per ridondanza o contraddizione, si rivela invece, a conti fatti, inessenziale. Ciò che resta è la capacità della Danco di darsi come performer ironica, potente e comunicativa: esplora il palcoscenico vuoto, si ferma in un punto addensandovi le parole o lo percorre da un angolo all’altro come una pennellata smaniosa; la sua fisicità volitiva, mai sfacciata, sottrae volgarità anche al frequente e compulsivo turpiloquio, affannosamente pronunciato con una vocalità debordante, seppure troppo ferma e invariata.
Mi pare infine che questi “corti” abbiano in comune almeno un paio di legature, punti dolenti nell’esperienza collettiva: la città e l’infanzia. Nel racconto dei personaggi Roma non è connotata dai suoi luoghi e segni inconfondibili, bensì compare come generico fattore di stress: è la metropoli sboccata di periferia ma anche quella “sbroccata”, sul lavoro, nel traffico, in famiglia. L’infanzia è invece vissuta come una sponda della memoria, a cui si torna non tanto per concedersi una tregua ma per l’inconscia necessità di ripetere a se stessi come siamo arrivati al punto in cui siamo, per quali strade, quali radici.

Ritmo serrato per oltre un’ora; performance convincente per il pubblico del Teatro Rossini di Pontasserchio, venerdì 5 marzo.


Me vojo sarva’ - Nessuno ci guarda
di e con Eleonora Danco
musiche scelte da Marco Tecce
costume MDM
disegno luci Narda
luci e fonica Claudio Cianfoni
assistente alla regia Flavia Parboni
organizzazione Fabrizio Perrone in collaborazione con Rosella Bettinardi
regia Eleonora Danco

da Pisanotizie.it, 6 marzo 2010