Appartato e schivo, Danio Manfredini conduce da anni una
personale ricerca intorno al tema dell’umanità segnata, quell’umanità, cioè, le
cui azioni si trovano ad essere orientate forzatamente, obbligate, quando non
incarcerate. Secondo un tratto comune a buona parte del teatro di ricerca, la
sua attività si è sempre misurata con la necessità di un processo, prima che con
l’urgenza di un prodotto finito: è quella prassi per cui, in assenza di un
progetto stabilito a priori, le esperienze di lavoro si sommano, accumulandosi
o respingendosi, prima di dare allo spettacolo una forma compiuta, benché
provvisoria e vulnerabile. Nel caso di questo
Nel raffigurare gli eventi che conducono Amleto a
prendere coscienza della necessità di vendicare l’assassinio del padre, un procedimento
di trasfigurazione (o sublimazione?) porta la scena, buia e disadorna, ad
essere lambita da una pluralità di tracce differenti: dal teatro giapponese,
rievocato nella purezza del suo simbolismo metonimico, alla tradizione del mimo
francese. Sono echi assorbiti tuttavia in un disegno prospettico che ha il suo
punto di fuga nel peso delle parole: Manfredini unisce alla ricerca
estetico-figurativa una riflessione sull’“agibilità” del linguaggio, questione troppo
spesso risolta nella direzione di un irraggiungibile rispetto filologico o, altre
volte, in nome di un ancor più pretenziosa richiesta di libertà. La nuova e ambiziosa
traduzione dal testo originale inglese (messa a punto da Amerigo Nutolo, anche
attore di questa compagnia di soli uomini) nasce senza dubbio dalla volontà di
misurarsi in prima persona con una scrittura concepita per la scena, con i suoi
pieni e vuoti, le sue leggerezze e le sue pietre miliari, ma diventa poi efficacissimo
scavo nella miniera di significati latenti dell’opera.
I ricami languidi di una viola decorano ogni azione, come
frammenti di un lungo requiem. Altri segni luttuosi incidono la materia scenica
dello spettacolo: gli abiti pesanti reprimono i movimenti; le maschere,
bianche, neutre e perturbanti (quasi una costante del teatro di Manfredini)
smorzano l’emissione vocale degli attori. La tragedia ha il respiro corto delle
marionette ribelli che la vivono, smaniose di liberarsi dai fili che le
sorvegliano.
L’incauto sovrapporsi di eventi teatrali nel fine
settimana pisano ha senz’altro nuociuto all’affluenza del pubblico, peraltro
indeciso nel concedere il meritato applauso.
Un’ora di spettacolo, visto sabato 10 marzo alla Città
del Teatro di Cascina.
Amleto Parte prima
di William Shakespeare
traduzione Amerigo Nutolo, Danio Manfredini
regia Danio Manfredini
aiuto alla regia Vincenzo Del Prete
con Guido Burzio, Cristian Conti, Vincenzo Del Prete, Angelo Laurino, Danio Manfredini, Amerigo Nutolo, Giuseppe Semeraro, Giovanni Ricciardi
adattamenti ed esecuzioni musicali Giovanni Ricciardi
luci Luigi Biondi
costumi Enzo Pirozzi, Irene Di Caprio
produzione Danio Manfredini e La Corte Ospitale
coproduzione Theatre du Bois de L’Aune (BLA) – Aix en Provence (France)
con il sostegno di Espace Malraux, Scène nationale de Chambéry et dela Savoie – CARTA BIANCA (programme communautaire Objectif 3, Coopération territoriale européenne 2007 – 2013 France – Italie “Alcotra”) e Emilia Romagna Teatro Fondazione
di William Shakespeare
traduzione Amerigo Nutolo, Danio Manfredini
regia Danio Manfredini
aiuto alla regia Vincenzo Del Prete
con Guido Burzio, Cristian Conti, Vincenzo Del Prete, Angelo Laurino, Danio Manfredini, Amerigo Nutolo, Giuseppe Semeraro, Giovanni Ricciardi
adattamenti ed esecuzioni musicali Giovanni Ricciardi
luci Luigi Biondi
costumi Enzo Pirozzi, Irene Di Caprio
produzione Danio Manfredini e La Corte Ospitale
coproduzione Theatre du Bois de L’Aune (BLA) – Aix en Provence (France)
con il sostegno di Espace Malraux, Scène nationale de Chambéry et dela Savoie – CARTA BIANCA (programme communautaire Objectif 3, Coopération territoriale européenne 2007 – 2013 France – Italie “Alcotra”) e Emilia Romagna Teatro Fondazione
da Pisanotizie.it, 12 marzo 2012