10 marzo 2012

Il dubbio in maschera



Appartato e schivo, Danio Manfredini conduce da anni una personale ricerca intorno al tema dell’umanità segnata, quell’umanità, cioè, le cui azioni si trovano ad essere orientate forzatamente, obbligate, quando non incarcerate. Secondo un tratto comune a buona parte del teatro di ricerca, la sua attività si è sempre misurata con la necessità di un processo, prima che con l’urgenza di un prodotto finito: è quella prassi per cui, in assenza di un progetto stabilito a priori, le esperienze di lavoro si sommano, accumulandosi o respingendosi, prima di dare allo spettacolo una forma compiuta, benché provvisoria e vulnerabile. Nel caso di questo 

Amleto, tale forma peculiare di processualità si scontra per la prima volta con una drammaturgia del repertorio classico; e la tragedia shakespeariana più nota e frequentata (qui presentata a metà, fino al terzo atto cioè) può diventare archivio di individualità marchiate, se, come scrive Manfredini, “attraverso il principe Amleto, sconvolto dall’assassinio di suo padre, si delinea sempre di più un mosaico esistenziale composto dalle lacerazioni che passano fra coscienza e azione, vita e morte, soprusi e giustizia, desideri e destino”.
Nel raffigurare gli eventi che conducono Amleto a prendere coscienza della necessità di vendicare l’assassinio del padre, un procedimento di trasfigurazione (o sublimazione?) porta la scena, buia e disadorna, ad essere lambita da una pluralità di tracce differenti: dal teatro giapponese, rievocato nella purezza del suo simbolismo metonimico, alla tradizione del mimo francese. Sono echi assorbiti tuttavia in un disegno prospettico che ha il suo punto di fuga nel peso delle parole: Manfredini unisce alla ricerca estetico-figurativa una riflessione sull’“agibilità” del linguaggio, questione troppo spesso risolta nella direzione di un irraggiungibile rispetto filologico o, altre volte, in nome di un ancor più pretenziosa richiesta di libertà. La nuova e ambiziosa traduzione dal testo originale inglese (messa a punto da Amerigo Nutolo, anche attore di questa compagnia di soli uomini) nasce senza dubbio dalla volontà di misurarsi in prima persona con una scrittura concepita per la scena, con i suoi pieni e vuoti, le sue leggerezze e le sue pietre miliari, ma diventa poi efficacissimo scavo nella miniera di significati latenti dell’opera.
I ricami languidi di una viola decorano ogni azione, come frammenti di un lungo requiem. Altri segni luttuosi incidono la materia scenica dello spettacolo: gli abiti pesanti reprimono i movimenti; le maschere, bianche, neutre e perturbanti (quasi una costante del teatro di Manfredini) smorzano l’emissione vocale degli attori. La tragedia ha il respiro corto delle marionette ribelli che la vivono, smaniose di liberarsi dai fili che le sorvegliano.

L’incauto sovrapporsi di eventi teatrali nel fine settimana pisano ha senz’altro nuociuto all’affluenza del pubblico, peraltro indeciso nel concedere il meritato applauso.
Un’ora di spettacolo, visto sabato 10 marzo alla Città del Teatro di Cascina.


Amleto Parte prima
di William Shakespeare
traduzione Amerigo Nutolo, Danio Manfredini
regia Danio Manfredini
aiuto alla regia Vincenzo Del Prete
con Guido Burzio, Cristian Conti, Vincenzo Del Prete, Angelo Laurino, Danio Manfredini, Amerigo Nutolo, Giuseppe Semeraro, Giovanni Ricciardi
adattamenti ed esecuzioni musicali Giovanni Ricciardi
luci Luigi Biondi
costumi Enzo Pirozzi, Irene Di Caprio
produzione Danio Manfredini e La Corte Ospitale
coproduzione Theatre du Bois de L’Aune (BLA) – Aix en Provence (France)
con il sostegno di Espace Malraux, Scène nationale de Chambéry et dela Savoie – CARTA BIANCA (programme communautaire Objectif 3, Coopération territoriale européenne 2007 – 2013 France – Italie “Alcotra”) e Emilia Romagna Teatro Fondazione

da Pisanotizie.it, 12 marzo 2012