29 marzo 2012

Paolo Rossi nella casa dei misteri



Che si tratti di un omaggio, più che di una ripresa o di un calco, è chiaro fin dal titolo.
A più di quarant’anni dalla sua prima scrittura per la scena, presentata come giullarata popolare, Mistero buffo è tra le commedie di Fo più contese dai suoi eredi diretti, chi più titolato chi meno. Non stupisce, trattandosi di un’opera malleabile, perpetuamente in divenire, un robusto contenitore in cui inscatolare materiali eterogenei.
Forte della sua esperienza e sostenuto da una solida direzione registica, Paolo Rossi decide scaltramente di evitare rischiosi confronti; prendendo alla lettera le parole del premio Nobel, «rubare in teatro è cosa buona, copiare è da coglioni», si appropria dunque del contenitore, come di un appartamento ammobiliato, e vi si trasferisce con i propri oggetti personali, vale a dire con la propria fisicità (meno elastica ed atletica dell’originale ma più nervosa e caracollante), con la propria voce (dalla grana grossa, e più costipata del solito per via di un’influenza), e con il proprio pubblico, abituato alla sua fanciullesca e impunita sfacciataggine. A trasloco completato, se la struttura di base non ne esce snaturata, la segnatura riconoscibile del comico di Monfalcone è pienamente evidente.
Come Fo, Rossi accoglie i visitatori in un’anticamera, li mette a proprio agio con un lungo prologo satireggiante (che agisce come una captatio benevolantiae), e poi li accompagna, stanza per stanza, a vedere come ha completato l’arredo. Buona parte del pubblico sa cosa aspettarsi, spera di trovare i “misteri” che raccontava Fo, narrazioni apocrife o prestiti dall’epica popolare come La nascita del giullare; e non resta deluso da come le doti mimiche e affabulatorie di Rossi riescano a rivisitarli. Anche il grammelot, la lingua falso-vera con cui Fo impastava i suoi racconti, ne esce trasfigurato, riportato su un’accennata e comprensibile cadenza tra il lombardo e il friulano.

La novità più significativa (da cui può trarre giustificazione l’attributo pop del titolo, che sta per popolare, cioè attuale, dotato di un’ironia alla portata di tutti) consiste nella scelta di arieggiare la forma monologica inserendo nelle due ore di spettacolo momenti comico-musicali, in cui Rossi, tra canzone e canzonatura, si appoggia alla “spalla” Emanuele Dell’Aquila imbastendo un botta e risposta sul filo del nonsense (che potrebbe ricordare quelli tra Paul Shaffer e David Letterman). In effetti la dominante dello spettacolo è l’impronta decisamente cabarettistica, lo sberleffo grottesco, l’invettiva satirica che lo spettatore attende per spanciarsi dalle risate; nella seconda parte, grazie alla presenza di Lucia Vasini nei panni di un’attrice svampita e psicolabile, lo spettacolo tocca il suo apice. Dallo zenit al nadir: la stessa Vasini repentinamente si trasforma, per diventare la protagonista dell’episodio più lirico e struggente tra quelli ispirati dal testo originale, ovvero la polifonia dialogica della Passione di Cristo, in cui l’attrice, in una scena dai toni ambrati, fa risuonare le voci concitate delle pie donne ai piedi della croce insieme a quella, scura e penetrante, di Maria.

Due ore di acclamatissima performance, vista giovedì 29 marzo alla Città del Teatro di Cascina.


Il Mistero buffo nella versione pop 2.0
di e con Paolo Rossi
riduzione e adattamento Paolo Rossi e Carolina De La Calle Casanova
regia Carolina De La Calle Casanova
con la partecipazione straordinaria di Lucia Vasini
musiche composte ed eseguite dal vivo da Emanuele Dell’Aquila
produzione La Corte Ospitale
in collaborazione con Fondazione Giorgio Gaber

da Pisanotizie.it, 30 marzo 2012