19 novembre 2011

Tu lo conosci Amleto?



Amleto è il Teatro, è il matrimonio a cui nessun regista e attore vorrebbe rinunciare. Lo ha ribadito in un’intervista lo stesso Oskaras Korsuvanos: “dirigere Amleto è come sposarsi; occorre capire qual è il momento giusto”. Pazienza e vivacità, virtù di ogni solida unione coniugale, non mancano al quarantenne regista lituano, la cui disinvoltura nel rispondere a tutte le domande che il testo pone inevitabilmente al suo metteur en scène è entusiasmante. Soprattutto perché è il frutto di una libertà inventiva che si scopre immediatamente provenire da un orizzonte culturale e geografico differente, forse meno corrotto.
Scontornato ed eviscerato, il dramma riscritto da Korsuvanos fa evaporare interi dialoghi, sviluppando o contraendo elaborati sintagmi scenici; lascia esplodere i colori con parsimonia, in una scenografia in cui dominano i bianchi e i neri; affida a un solo attore i ruoli dell’usurpatore Claudio e dello spettro del fratello ucciso, come volesse dar forma ai disordini e alle visioni di Amleto; come in un grottesco enigma visivo, di sapore lynchiano, chiama in scena di quando in quando un cortigiano con la maschera da topo e un diavoletto a quattro zampe col naso rosso da pagliaccio, beffarda personificazione della sventura. Il castello di Elsinore si sublima nei simboli della teatralità: tolette con specchio e cassetto, trucchi e relle appendiabiti. Le luci al neon che raffreddano la terrestrità della tragedia, i suoni corposi – ora soffiati, ora stridenti, ora carichi di riverberi (nonostante una resa non ideale) – e perfino gli odori, talora intensi da saturare l’aria, sono fendenti che sterzano le linee di forza della messinscena.
Come fossero assoggettati a un metronomo difettoso, terrorizzati o divertiti da una verità inafferrabile, gli interpreti – in abiti moderni, cupi, sensuali o soffocanti – calcano la scena con energia straripante: disorientati come un viaggiatore su una terra sconosciuta, o accelerati fino al parossismo vocale.
Chi ha visto lo spettacolo potrà contare su un buon numero di momenti memorabili; io scelgo l’apparizione del fantasma del defunto re, che giace come un cadavere all’obitorio, e l’ultimo dilatatissimo incontro tra Amleto e Ofelia, in cui si “materializza” un bacio struggente, prima del violento abbandono del principe. Sequenze che veramente funzionerebbero senza parole, senza cioè alzare gli occhi per raggiungere i soprattitoli.

La seconda parte poi è letteralmente dirompente. Il copione sembra ricavato da un libro squadernato, decomposto e riassemblato arbitrariamente. Quando Amleto mormora al fedele Orazio: “sono morto”, non si è ancora vista la scena del duello con Laerte. E dopo lo scontro mortale tra i due, qui rarefatto e precipitato, il principe pronuncia per la seconda volta il suo dubbio, che non è più un dubbio ma una celebrazione del suicidio. Il suo “essere o non essere”, urlato come epilogo da un corpo vestito di sangue, risuona a quel punto come l’estrema dichiarazione di una coscienza esplorata fino a esaurirsi, e infine sopraffatta. Per non dire di Fortebraccio, che insieme al trono si impadronisce anche dell’ultima battuta di Amleto, “il resto è silenzio”, prima che sala e palco ripiombino nella completa oscurità.
Dopo quasi tre ore di derive, naufragi e inabissamenti, giochi di specchi, correnti sferzanti e geometrie ambigue, la scena iniziale che aveva accolto lo spettatore nel prendere posto guadagna nella memoria quasi un valore riassuntivo: gli attori fissi a guardare lo specchio di un camerino, chiedendosi in un crescendo maniacale non “Chi è là?”, come le pavide sentinelle al principio del dramma, bensì: “Chi sei tu? Chi sei tu?”.

Tre ore di spettacolo, diviso in due tempi, visto al Teatro Era di Pontedera, sabato 19 novembre.


Hamlet
di William Shakespeare
Spettacolo in lingua originale con sopratitoli
regia Oskaras Korsunovas
con Darius Meskauskas (Amleto), Dainius Gavenonis (Claudio, lo Spettro), Nele Savicenko (Gertrude), Vaidotas Martinaitis (Polonio), Rasa Samuolyte (Ofelia), Julius Zalakevicius (Orazio), Darius Gumauskas (Laerte), Tomas Zaibus (Rosencrantz, Bernardo), Giedrius Savickas (Guildenstern), Nele Savicenko (Marcello)
produzione OKT/Vilnius City theatre, Lituania

da Pisanotizie.it, 21 novembre 2011