Amleto è il Teatro,
è il matrimonio a cui nessun regista e attore vorrebbe rinunciare. Lo ha
ribadito in un’intervista lo stesso Oskaras Korsuvanos: “dirigere Amleto è come
sposarsi; occorre capire qual è il momento giusto”. Pazienza e vivacità, virtù
di ogni solida unione coniugale, non mancano al quarantenne regista lituano, la
cui disinvoltura nel rispondere a tutte le domande che il testo pone
inevitabilmente al suo metteur en scène
è entusiasmante. Soprattutto perché è il frutto di una libertà inventiva che si
scopre immediatamente provenire da un orizzonte culturale e geografico
differente, forse meno corrotto.
Scontornato ed eviscerato, il dramma riscritto da
Korsuvanos fa evaporare interi dialoghi, sviluppando o contraendo elaborati sintagmi
scenici; lascia esplodere i colori con parsimonia, in una scenografia in cui
dominano i bianchi e i neri; affida a un solo attore i ruoli dell’usurpatore Claudio
e dello spettro del fratello ucciso, come volesse dar forma ai disordini e alle
visioni di Amleto; come in un grottesco enigma visivo, di sapore lynchiano,
chiama in scena di quando in quando un cortigiano con la maschera da topo e un
diavoletto a quattro zampe col naso rosso da pagliaccio, beffarda
personificazione della sventura. Il castello di Elsinore si sublima nei simboli
della teatralità: tolette con specchio e cassetto, trucchi e relle
appendiabiti. Le luci al neon che raffreddano la terrestrità della tragedia, i
suoni corposi – ora soffiati, ora stridenti, ora carichi di riverberi
(nonostante una resa non ideale) – e perfino gli odori, talora intensi da
saturare l’aria, sono fendenti che sterzano le linee di forza della messinscena.
Come fossero assoggettati a un metronomo difettoso, terrorizzati
o divertiti da una verità inafferrabile, gli interpreti – in abiti moderni,
cupi, sensuali o soffocanti – calcano la scena con energia straripante:
disorientati come un viaggiatore su una terra sconosciuta, o accelerati fino al
parossismo vocale.
Chi ha visto lo spettacolo potrà contare su un buon
numero di momenti memorabili; io scelgo l’apparizione del fantasma del defunto re,
che giace come un cadavere all’obitorio, e l’ultimo dilatatissimo incontro tra
Amleto e Ofelia, in cui si “materializza” un bacio struggente, prima del
violento abbandono del principe. Sequenze che veramente funzionerebbero senza
parole, senza cioè alzare gli occhi per raggiungere i soprattitoli.
La seconda parte poi è letteralmente dirompente. Il
copione sembra ricavato da un libro squadernato, decomposto e riassemblato
arbitrariamente. Quando Amleto mormora al fedele Orazio: “sono morto”, non si è
ancora vista la scena del duello con Laerte. E dopo lo scontro mortale tra i
due, qui rarefatto e precipitato, il principe pronuncia per la seconda volta il
suo dubbio, che non è più un dubbio ma una celebrazione del suicidio. Il suo “essere
o non essere”, urlato come epilogo da un corpo vestito di sangue, risuona a
quel punto come l’estrema dichiarazione di una coscienza esplorata fino a esaurirsi,
e infine sopraffatta. Per non dire di Fortebraccio, che insieme al trono si
impadronisce anche dell’ultima battuta di Amleto, “il resto è silenzio”, prima
che sala e palco ripiombino nella completa oscurità.
Dopo quasi tre ore di derive, naufragi e inabissamenti,
giochi di specchi, correnti sferzanti e geometrie ambigue, la scena iniziale
che aveva accolto lo spettatore nel prendere posto guadagna nella memoria quasi
un valore riassuntivo: gli attori fissi a guardare lo specchio di un camerino,
chiedendosi in un crescendo maniacale non “Chi è là?”, come le pavide
sentinelle al principio del dramma, bensì: “Chi sei tu? Chi sei tu?”.
Tre ore di
spettacolo, diviso in due tempi, visto al Teatro Era di Pontedera, sabato 19
novembre.
Hamlet
di William Shakespeare
Spettacolo in lingua originale con sopratitoli
regia Oskaras Korsunovas
con Darius Meskauskas (Amleto), Dainius Gavenonis (Claudio, lo Spettro), Nele Savicenko (Gertrude), Vaidotas Martinaitis (Polonio), Rasa Samuolyte (Ofelia), Julius Zalakevicius (Orazio), Darius Gumauskas (Laerte), Tomas Zaibus (Rosencrantz, Bernardo), Giedrius Savickas (Guildenstern), Nele Savicenko (Marcello)
produzione OKT/Vilnius City theatre, Lituania
di William Shakespeare
Spettacolo in lingua originale con sopratitoli
regia Oskaras Korsunovas
con Darius Meskauskas (Amleto), Dainius Gavenonis (Claudio, lo Spettro), Nele Savicenko (Gertrude), Vaidotas Martinaitis (Polonio), Rasa Samuolyte (Ofelia), Julius Zalakevicius (Orazio), Darius Gumauskas (Laerte), Tomas Zaibus (Rosencrantz, Bernardo), Giedrius Savickas (Guildenstern), Nele Savicenko (Marcello)
produzione OKT/Vilnius City theatre, Lituania
da Pisanotizie.it, 21 novembre 2011