4 novembre 2011

Chi è l'ultimo?



L’atto unico Line di Israel Horovitz è uno di quei testi di cui si dice: “non dimostra gli anni che ha”, oppure: “sembra scritto ieri”. Ovviamente si tratta di modi di dire. Gli anni passano per tutti, invece. Se in molti possono riconoscersi in un’opera non è per la sua attualità ma per come sa pronunciare una verità indiscutibile. L’ovvietà in questione è la bassezza del genere umano, disposto a ogni meschinità pur di vincere una competizione, tanto più gratificante quanto più è agguerrita.
Messo in scena per la prima volta nel novembre del 1967 nello storico Cafè La Mama di Ellen Stewart, e giunto al 38° anno di ininterrotte rappresentazioni a New York, il dramaticule di Horovitz trova nell’allestimento diretto da Walter Le Moli la sua prima produzione italiana (con l’ottima traduzione di Susanna Corradi).
La semplicità della scena è al suo massimo livello: solo una striscia bianca e fosforescente in proscenio, e cinque persone (quattro uomini e una donna) che ad una ad una fanno il loro ingresso, disponendosi in fila dietro la linea. Persone comuni, tipi psicologici privi di sfumature, il genere di fisionomia che crediamo di poter descrivere in due parole: il rozzo e corpulento Fleming, il meschino e aggressivo Dolan, il pavido Arnall, sopraffatto in un gioco di coppia alla Macbeth dalla subdola moglie Molly, e infine l’artista del gruppo, Stephen, arguto e smanioso (attenzione all’onomastica, interamente prelevata dalla bibliografia joyciana). Tutti ben vestiti, per assistere a un evento imprecisato; fino alla fine ci domandiamo quale possa essere, giacché il testo si diverte a eludere la risposta: non è un concerto, né un film, né un incontro sportivo. 

Ha poca importanza quale circostanza abbia trascinato i cinque nella stessa fila; ad ogni costo, apparentemente senza scrupoli, usando la violenza o la seduzione, l’inganno o la sveltezza, essi cercheranno di guadagnare il primo posto. Del resto la prepotenza ha molte forme, e ciascun personaggio mette in campo quella di cui dispone per sopravanzare gli altri. La sfida, non può essere altrimenti, precipita nell’insensatezza: vincere non è sempre consigliabile, se con la vittoria si esaurisce la soddisfazione della competizione.
Si ride, ma dietro lo schermo delle piccole “agonistiche” crudeltà si cela qualcosa di meno comico e più spaventoso: c’è della misoginia nel trattamento riservato da Horovitz all’unico personaggio femminile, che non ha altro modo di farsi valere se non una viscida strategia di adescamento, ma c’è, parimenti, un’implacabile e assiomatica condanna della stupidità maschile.
Una trama tanto asciutta e un’azione scenica così concentrata esigono una recitazione serratissima e mai calante, sospesa tra iperbole e ridicolo, tra humour greve e suspense (chi sarà infine il primo della fila?): una recitazione “fast and furious”, che abbia per bilanciere il senso del paradosso. È la dinamica adoperata dai cinque interpreti, che portano le battute con voce piena e tonica, muovendosi compatti e senza tentennamenti.

Poco meno di un’ora di spettacolo, applaudito con convinzione dalla sala strapiena del Teatro Sant’Andrea, venerdì 4 novembre.


La fila (Line)
di Israel Horovitz
regia Walter Le Moli
ron Alessandro Averone, Paola De Crescenzo, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Sergio Filippa, Nanni Tormen 
traduzione Susanna Corradi
luci Luca Bronzo
produzione Fondazione Teatro Due di Parma e Teatro di Roma

da Pisanotizie.it, 5 novembre 2011