L’atto unico Line
di Israel Horovitz è uno di quei testi di cui si dice: “non dimostra gli anni
che ha”, oppure: “sembra scritto ieri”. Ovviamente si tratta di modi di dire.
Gli anni passano per tutti, invece. Se in molti possono riconoscersi in
un’opera non è per la sua attualità ma per come sa pronunciare una verità
indiscutibile. L’ovvietà in questione è la bassezza del genere umano, disposto
a ogni meschinità pur di vincere una competizione, tanto più gratificante
quanto più è agguerrita.
Messo in scena per la prima volta nel novembre del 1967 nello
storico Cafè La Mama di Ellen Stewart, e giunto al 38° anno di ininterrotte
rappresentazioni a New York, il dramaticule di Horovitz trova nell’allestimento
diretto da Walter Le Moli la sua prima produzione italiana (con l’ottima
traduzione di Susanna Corradi).
La semplicità della scena è al suo massimo livello: solo una
striscia bianca e fosforescente in proscenio, e cinque persone (quattro uomini
e una donna) che ad una ad una fanno il loro ingresso, disponendosi in fila
dietro la linea. Persone comuni, tipi psicologici privi di sfumature, il genere
di fisionomia che crediamo di poter descrivere in due parole: il rozzo e
corpulento Fleming, il meschino e aggressivo Dolan, il pavido Arnall,
sopraffatto in un gioco di coppia alla Macbeth dalla subdola moglie Molly, e
infine l’artista del gruppo, Stephen, arguto e smanioso (attenzione
all’onomastica, interamente prelevata dalla bibliografia joyciana). Tutti ben
vestiti, per assistere a un evento imprecisato; fino alla fine ci domandiamo
quale possa essere, giacché il testo si diverte a eludere la risposta: non è un
concerto, né un film, né un incontro sportivo.
Si ride, ma dietro lo schermo delle piccole “agonistiche”
crudeltà si cela qualcosa di meno comico e più spaventoso: c’è della misoginia
nel trattamento riservato da Horovitz all’unico personaggio femminile, che non
ha altro modo di farsi valere se non una viscida strategia di adescamento, ma
c’è, parimenti, un’implacabile e assiomatica condanna della stupidità maschile.
Una trama tanto asciutta e un’azione scenica così
concentrata esigono una recitazione serratissima e mai calante, sospesa tra
iperbole e ridicolo, tra humour greve e suspense (chi sarà infine il primo
della fila?): una recitazione “fast and furious”, che abbia per bilanciere il
senso del paradosso. È la dinamica adoperata dai cinque interpreti, che portano
le battute con voce piena e tonica, muovendosi compatti e senza tentennamenti.
Poco meno di un’ora di spettacolo, applaudito con
convinzione dalla sala strapiena del Teatro Sant’Andrea, venerdì 4 novembre.
La fila (Line)
di Israel Horovitz
regia Walter Le
Moli
ron Alessandro
Averone, Paola De Crescenzo, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Sergio Filippa,
Nanni Tormen
traduzione Susanna
Corradi
luci Luca Bronzo
produzione Fondazione Teatro Due di Parma e Teatro di Roma
da Pisanotizie.it, 5 novembre 2011
da Pisanotizie.it, 5 novembre 2011