24 novembre 2011

Per non udire più "Dagli all'untore!"



Fino a che punto l’uomo possa spingersi alla ricerca di un capro espiatorio sul quale riversare la colpa di una sventura, nel vano tentativo di dominare le proprie paure: in estrema sintesi, è questo il fondamento del saggio storico che impegnò Alessandro Manzoni per molti anni. Vi è riportato con la lucida oggettività di un giurista il terribile caso capitato al commissario di sanità Guglielmo Piazza e al barbiere Gian Giacomo Mora, ingiustamente bollati come “untori”, torturati e giustiziati nella Milano del 1630.

La versione definitiva di questa cronaca – lunga, dolorosa, che indulge a poche piacevolezze stilistiche – spinse il suo autore a separarla dal corpo principale di I Promessi Sposi, al quale in origine apparteneva, una tra le numerose deviazioni che il romanzo si concede. Prima che la letteratura etnologica e psicologica individuasse nell’eliminazione di una vittima sacrificale un processo che risale alla comunità arcaiche, Manzoni trasse da questo caso esemplare l’espressione di quel senso di fatalità e inquietudine che accompagna certe ingiustizie.
Come tradurre scenicamente un testo del genere? Il progetto messo a punto da Silvio Castiglioni con la regia di Giovanni Guerrieri parte da un indispensabile rimaneggiamento del testo e procede attraverso un robusto lavoro di squadra. Il corpo a corpo deve essere stato impegnativo, assai laborioso: sintetizzare la verbosità manzoniana senza alterarne gli umori, condensarla in una sorta di discorso indiretto che non avesse la retorica accattivante del reportage ma uno spessore tangibile e carico di tensione, e infine far affiorare simboli latenti da oggettualizzare.
L’operazione, assai rischiosa in effetti, deve molto della sua riuscita alla grazia dei due interpreti. Silvio Castiglioni ed Emanuela Villagrossi, in abiti borghesi e guanti bianchi, hanno la voce farinosa e l’atteggiamento a tratti sbigottito di chi precipita in una situazione sconosciuta e con timoroso pudore vi si adegua; cercando tra gli oggetti di scena gli accordi giusti per intonare un racconto così abnorme da sembrare falso, ma tanto logico nel suo sviluppo da risultare totalmente credibile. Sicché i pezzi d’epoca che ingombrano la stanza – valigie, mobili consumati, suppellettili accatastate e un ventilatore acceso che sfoglia senza pace le pagine di un libretto – danno all’ambiente l’aspetto di un’antichità vissuta, ricopertasi di memorie e infine abbandonata.
Come il buio iniziale è solo alleggerito dalla pallida luminosità di una lampada, così l’atrocità del resoconto è in parte mitigata dalla pacatezza dei gesti congiunti alle parole, come in un lento rituale: lo scrivere su una lavagna o l’erigere una torre instabile fatta di calici, metafora trasparente delle confessioni estorte ai due imputati.
In questa penombra che si carica via via di rumori sommessi e minacciosi, le due voci narranti si cercano, si incontrano per poi raggiungere l’unisono sul finire dell’ignominiosa vicenda, quando al termine dello spettacolo manca solo un’ultima scena, che sceglie di richiamare la fiduciosa quiete con cui si conclude I promessi sposi.

Meno di un’ora di spettacolo, visto al Teatro Sant’Andrea giovedì 24 novembre.


Storia della Colonna infame
da Alessandro Manzoni
consulenza letteraria Luigi Weber
regia Giovanni Guerrieri
con Silvio Castiglioni, Emanuela Villagrossi
disegno luci Giuliano Bottacin e Anna Merlo
assistente scenografo Petra Trombini
progetto Silvio Castiglioni
produzione CRT, Centro di Ricerca per il Teatro, in collaborazione con Celesterosa/I Sacchi di Sabbia e con il sostegno della Regione Toscana

da Pisanotizie.it, 25 novembre 2011