27 febbraio 2011

Requiem per un licenziamento



Dovessi nominare tutti i film e spettacoli teatrali che hanno affrontato negli ultimi anni il mondo del lavoro – dal mobbing alle morti bianche, dal precariato alla fuga dei cervelli – l’elenco dei titoli esaurirebbe lo spazio di questa recensione. Si dirà che tale abbondanza dimostra senza dubbi l’attualità della questione ma è altrettanto vero che il tema garantisce la possibilità di rinnovare un registro drammatico sempre funzionante: il patetismo che nasce dalla simpatia per il vinto, per lo sconfitto, per l’incolpevole vittima di un sistema schiacciante e avvilente.
Il testo di Andrea Bajani, giovane e premiato narratore romano, non si allontana da un modello visto e sentito più volte, prendendo la forma di un monologo rivolto agli oggetti e agli indumenti ammucchiati in una stanza lasciata vuota, testimoni e riflesso di un’esistenza sgretolatasi dopo il licenziamento. Perso il lavoro perso tutto, in una scontata catena di abbandoni (moglie e figlio, amici, rispetto). Scontati sono anche i passaggi del precipizio: il giovane arrivista – il pitone del titolo – che non ha scrupoli nel sopraffare l’impiegato maturo, il trasloco repentino e beffardo della moglie, l’impossibilità di rifarsi una vita a 50 anni. Dei 18000 giorni passati a edificare un presente demolito in poche ore il protagonista – un arrochito Battiston, che non snatura le sue qualità di interprete delicato e ironico – ricorda gli ultimi, i peggiori, con toni ora affranti ora illividiti.

Senza troppa originalità, la tragedia domestica dell’uomo tiene in prospettiva quella, meno privata, del nostro paese, ma non risponde alla domanda più impegnativa: com’è possibile che sia unicamente il lavoro a garantire all’individuo una dignità e perfino un’identità, al punto da far sentire la disoccupazione come il peggiore dei fallimenti?
Fortunatamente la messinscena ha delle qualità che riscattano la superficialità del testo.
Il disegno luci di Andrea Violato asseconda la tensione del monologo, per colori e tonalità, trascorrendo dalla tenuità del rimpianto alla cruda e accecante invettiva; aureolato dietro un velo di tulle, Gianmaria Testa fonde come in un melologo le sue canzoni dalle sonorità malinconiche nella testura dello spettacolo, per poi farsi avanti, angelo custode del protagonista, e intervenire in prima persona come presenza drammatica; la regia di Alfonso Santagata, infine, misura e modula i passaggi di maggiore accento emotivo, preoccupata soprattutto di evadere dal riduttivo modello del monologo in proscenio.

Gli spettatori convinti hanno applaudito dopo 80 minuti di spettacolo, alla Città del Teatro di Cascina, domenica 27 febbraio.


18 mila giorni - IL PITONE
dal testo originale di Andrea Bajani
regia Alfonso Santagata
con Giuseppe Battiston e Gianmaria Testa
luci Andrea Violato
musiche originali Gianmaria Testa
produzione Fuorivia – Teatro Stabile di Torino

da Pisanotizie, 28 febbraio 2011