Come vive una ragazzina di dodici anni in una periferia
sottoproletaria, sboccata, violenta e primitiva, feroce addirittura? Cresce
prima del tempo, come si suol dire, ostentando una spavalderia che non basta a
spegnere i sogni adolescenziali. E nella disillusione in cui annegano le speranze,
sopravvivono le tracce di una umanità ingenua e delicata come un volo di
farfalla.
In un abitino a righe bianche e rosse, Caterina, la
smaliziata spettatrice di questa realtà suburbana, racconta la sordida
quotidianità del quartiere, i suoi abitanti, le mura senza segreti del
condominio. Il suo osservatorio è un’impalcatura di tubi, scale e poveri
elementi d’arredo, combinati a fare da scenografia, come un cantiere aperto nel
quale la fanciulla si muove con sicurezza. Il materasso steso in proscenio sul
quale si corica alla fine dello spettacolo è il nudo giaciglio in cui affondare
i ricordi di una giornata campale, gonfia di minacce, tenerezze, vaticini e
ritirate.
Bellas Mariposas,
il racconto del narratore cagliaritano Sergio Atzeni da cui è tratto lo
spettacolo, prende corpo grazie alla solida interpretazione di Monica Demuru,
sarda come lo scrittore, con alle spalle una matura carriera di cantante e già
impegnata in teatro per alcune produzioni della Societas Raffaello Sanzio.
Alla verifica della scena, se sull’intensità e plasticità
vocale dell’attrice protagonista non rimangono dubbi (a tratti qualcosa di
contorto, una mancanza o una tonalità calante ci riportano tutto il disagio di
una sensibilità inquieta), lascia perplessi la direzione registica intrapresa
da Annalisa Bianco. Si capisce che questa abbia preferito la giustapposizione
degli elementi scenici all’amalgama, volendo salvaguardare l’integrità del
testo. Riportando cioè il taglio diaristico del racconto in una trascrizione
drammaturgica fedele, in forma di monologo; monologo reso più vivido dalla
naturale inflessione dialettale dell’attrice e dal gioco delle luci, che
impongono alla scena ombre e tinte cangianti. Inattesi segmenti musicali fanno
da intervallo: pezzi rock anni ’80 si sommano alle arie medievaleggianti di Ceremony of Carols di Benjamin Britten,
auratiche come un coro antico, assai lontane dal concerto caotico a cui la
città abitua i suoi abitanti. Il risultato è una successione piuttosto schematica
di entrate e uscite, di pieni e vuoti della parola, senza picchi né sorprese.
Scelta che apprezzerà solo chi saprà ricavare emozioni sufficienti dall’ascolto
delle parole di Atzeni, ora amare, ora cariche di greve ironia.
Per quanto mi riguarda, avendo più volte perso la
concentrazione, ne ho approfittato per richiamare alla memoria alcuni
impareggiabili versi di Pier Paolo Pasolini, assai pertinenti nella
circostanza, con i quali scelgo di chiudere: “E senti come in quei lontani esseri che, in vita, gridano, ridono, in
quei loro veicoli, in quei grami caseggiati dove si consuma l’infido ed
espansivo dono dell’esistenza - quella vita non è che un brivido; corporea,
collettiva presenza; senti il mancare di ogni religione vera; non vita, ma
sopravvivenza - forse più lieta della vita – come d’un popolo di animali, nel
cui arcano orgasmo non ci sia altra passione che per l’operare quotidiano:
umile fervore cui dà un senso di festa l’umile corruzione”.
Poco più di un’ora di spettacolo, visto nella gelida
serata di venerdì 3 febbraio al Teatro Rossini di Pontasserchio.
Bellas mariposas
ovvero Musica di parole per amore e per rabbia.
da Sergio Atzeni
con Monica Demuru
regia Annalisa Bianco
realizzazione scene Paolo Bruni
luci e direzione tecnica Andrea Guideri
scelte musicali Monica Demuru
spettacolo sostenuto da Regione Toscana-Sistema Regionale dello Spettacolo
ovvero Musica di parole per amore e per rabbia.
da Sergio Atzeni
con Monica Demuru
regia Annalisa Bianco
realizzazione scene Paolo Bruni
luci e direzione tecnica Andrea Guideri
scelte musicali Monica Demuru
spettacolo sostenuto da Regione Toscana-Sistema Regionale dello Spettacolo
da Pisanotizie.it, 4 febbraio 2012