3 febbraio 2012

Vivere di periferia



Come vive una ragazzina di dodici anni in una periferia sottoproletaria, sboccata, violenta e primitiva, feroce addirittura? Cresce prima del tempo, come si suol dire, ostentando una spavalderia che non basta a spegnere i sogni adolescenziali. E nella disillusione in cui annegano le speranze, sopravvivono le tracce di una umanità ingenua e delicata come un volo di farfalla. 

In un abitino a righe bianche e rosse, Caterina, la smaliziata spettatrice di questa realtà suburbana, racconta la sordida quotidianità del quartiere, i suoi abitanti, le mura senza segreti del condominio. Il suo osservatorio è un’impalcatura di tubi, scale e poveri elementi d’arredo, combinati a fare da scenografia, come un cantiere aperto nel quale la fanciulla si muove con sicurezza. Il materasso steso in proscenio sul quale si corica alla fine dello spettacolo è il nudo giaciglio in cui affondare i ricordi di una giornata campale, gonfia di minacce, tenerezze, vaticini e ritirate.
Bellas Mariposas, il racconto del narratore cagliaritano Sergio Atzeni da cui è tratto lo spettacolo, prende corpo grazie alla solida interpretazione di Monica Demuru, sarda come lo scrittore, con alle spalle una matura carriera di cantante e già impegnata in teatro per alcune produzioni della Societas Raffaello Sanzio.
Alla verifica della scena, se sull’intensità e plasticità vocale dell’attrice protagonista non rimangono dubbi (a tratti qualcosa di contorto, una mancanza o una tonalità calante ci riportano tutto il disagio di una sensibilità inquieta), lascia perplessi la direzione registica intrapresa da Annalisa Bianco. Si capisce che questa abbia preferito la giustapposizione degli elementi scenici all’amalgama, volendo salvaguardare l’integrità del testo. Riportando cioè il taglio diaristico del racconto in una trascrizione drammaturgica fedele, in forma di monologo; monologo reso più vivido dalla naturale inflessione dialettale dell’attrice e dal gioco delle luci, che impongono alla scena ombre e tinte cangianti. Inattesi segmenti musicali fanno da intervallo: pezzi rock anni ’80 si sommano alle arie medievaleggianti di Ceremony of Carols di Benjamin Britten, auratiche come un coro antico, assai lontane dal concerto caotico a cui la città abitua i suoi abitanti. Il risultato è una successione piuttosto schematica di entrate e uscite, di pieni e vuoti della parola, senza picchi né sorprese. Scelta che apprezzerà solo chi saprà ricavare emozioni sufficienti dall’ascolto delle parole di Atzeni, ora amare, ora cariche di greve ironia.
Per quanto mi riguarda, avendo più volte perso la concentrazione, ne ho approfittato per richiamare alla memoria alcuni impareggiabili versi di Pier Paolo Pasolini, assai pertinenti nella circostanza, con i quali scelgo di chiudere: “E senti come in quei lontani esseri che, in vita, gridano, ridono, in quei loro veicoli, in quei grami caseggiati dove si consuma l’infido ed espansivo dono dell’esistenza - quella vita non è che un brivido; corporea, collettiva presenza; senti il mancare di ogni religione vera; non vita, ma sopravvivenza - forse più lieta della vita – come d’un popolo di animali, nel cui arcano orgasmo non ci sia altra passione che per l’operare quotidiano: umile fervore cui dà un senso di festa l’umile corruzione.

Poco più di un’ora di spettacolo, visto nella gelida serata di venerdì 3 febbraio al Teatro Rossini di Pontasserchio.


Bellas mariposas
ovvero Musica di parole per amore e per rabbia.
da Sergio Atzeni
con Monica Demuru
regia Annalisa Bianco
realizzazione scene Paolo Bruni
luci e direzione tecnica Andrea Guideri
scelte musicali Monica Demuru
spettacolo sostenuto da Regione Toscana-Sistema Regionale dello Spettacolo

da Pisanotizie.it, 4 febbraio 2012