16 dicembre 2010

Le Serve di scena



Fa bene rivedere spettacoli del passato. Gli ultimi affollatissimi, “squilibratissimi” decenni di spettacolo non concedono l’impalcatura di una memoria, rendono più che difficile riordinare i gradini del cosiddetto teatro di ricerca, elaborarne una progressione dinamica. Per questo essere indotti a parlare di un lavoro apparso venticinque anni prima impone una benefica calibrazione dei parametri di giudizio. Studio per le Serve, spettacolo d’esordio dei torinesi Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa (metà anni Ottanta), suscitò pareri diseguali ma nessuno di quanti ebbero modo di parlarne rimase indifferente di fronte alla volontà di costruire intorno a un testo chiuso e refrattario ad ogni divagazione registica una gabbia ancora più impenetrabile, che ne aliena i significati portandolo al solo livello di enunciato. Volontà che sarebbe poi divenuta cifra stilistica della compagnia, prassi consolidata, filo di un discorso disteso nel tempo (chi scrive ricorda uno degli ultimi spettacoli della compagnia, in cui un’operazione analoga è compiuta sul capolavoro di Beckett, L’innominabile).

Su una piattaforma circolare di legno posta dinanzi a un pannello decorato con festoni sui toni del rosso, alla luce di una lampadina sospesa, stanno i due interpreti. Maria Luisa Abate (che era già nello spettacolo originale), sempre eretta, con una passata di bianco sul volto, proferisce le battute del dialogo tra le due serve: il loro immaginario progetto di assassinare la padrona, il loro inabissarsi nella rete di perversi mascheramenti. Tuttavia, la sua straordinaria performance vocale, che lavora su variazioni timbriche, tra emissioni pastose e chiusure gutturali, decostruisce il dialogo, rendendolo una sorta di flusso di coscienza pentagrammato. La personalità patologica delle due donne, che Genet voleva dominate dalla passione per la finzione, e da questa costrette a un tragico e grottesco epilogo, non sopravvive a questa condensazione; la messinscena rinuncia ad ogni riferimento con il testo, come questo rinunciava ad ogni referenza realistica. Così Paolo Oricco, en travesti (trucco, striminzita divisa da serva e scarpe décolleté), non ha la funzione di interlocutore, bensì quella di mera presenza scenica, attributo visivo dello spettacolo: nella prima parte facendo da sponda alla traccia coreografica e vocale imbastita dalla Abate, alternando pose imbambolate a torsioni ginniche; durante il monologo finale “ingabbiando” la sua complice con fili di perle estratti dai pantaloni e agganciati alla pedana, e adornandola di una corona di mollette da bucato (uno dei segni ritornanti nel progetto iconico dei Marcido).
Lo spettacolo ri-vive così di questa lettura cerimoniale e cerimoniosa, indubbiamente destinata ai soli iniziati.

Quasi un’ora di spettacolo, applaudito con modesta convinzione, al Teatro S. Andrea, giovedì 16 dicembre.


Memoria dello studio per Le serve
Da Le Serve di Jean Genet
regia Marco Isidori
con Maria Luisa Abate, Paolo Oricco
scena e costumi Daniela Dal Cin

da Pisanotizie.it, 17 dicembre 2010