26 luglio 2010

Metamorfosi dentro la fortezza



La fretta di chiudere un pezzo induce spesso il recensore a lasciare da parte le finezze della sintassi e a procedere con fare compilativo nel tentativo di restituire tutti gli aspetti e le cadenze di un’opera. Ma per uno spettacolo come Hamlice perfino questo progetto sembra troppo ambizioso, tali e tanti sono i soprassalti, le trepidazioni, le deviazioni, i momenti di stordimento che si dovrebbero elencare per non tradire quanto si è visto. A cominciare dalla procedura con la quale si accede all’interno del penitenziario, che anche allo spettatore più disincantato non può non apparire come un cerimoniale voraginoso.
Dopo i primi minuti il respiro, che si era accorciato per il caldo, l’attesa e l’emozione, si riprende, si fa largo, si gonfia del vento di immaginazione che circola nel cortile interno dove i protagonisti di Amleto si presentano, cantando o danzando come in un teatro di corte, mentre Armando Punzo nelle vesti di narratore comincia a declamare frammenti della tragedia in una sorta di preludio solenne scandito dall’abbattersi di enormi pilastri di polistirolo. Oltrepassato l’ultimo diaframma, quello che ancora separava l’aperto dal chiuso, si è guidati in uno stretto corridoio che si affolla, si congestiona, si fa claustrofobico laboratorio alchemico. Qui il testo del dramma shakespeariano, su fogli bianchi scritti a mano, tappezza interamente il percorso come carta da parati, sopra, sotto, di lato, sicché non si può che leggerne le frasi insieme a Punzo, che ne fa quasi una salmodia, ripetuta e amplificata; in continuo movimento gli spazi sonori si incrociano e accavallano, l’osmosi di voci, rumori, melodie suonate al pianoforte è riversata dagli occultati altoparlanti.

Come nello spettacolo dell’anno scorso (di cui questo rappresenta una ripresa, con lievi variazioni), un’Alice svolazzante e impertinente prende per mano gli spettatori e li dirotta da una stanza all’altra, come dovesse riempire ogni abisso e portare ciascuno a conoscenza delle mutazioni che vi hanno luogo. Alcuni detenuti, i cui abiti portano impresse ancora le parole di Amleto, esercitano il loro mimetismo scivolando lungo le pareti, con andamento cieco e inespressivo, altri dialogano sommessamente, bisbigliano presso un tavolino da trucco, altri gridano, in italiano o nel loro dialetto, la loro personale interpretazione di Alice, di Amleto e non solo: resto in punta di lacrime quando uno di essi quasi mi grida, occhi negli occhi, le parole sconcertanti di Notre-Dame-des-fleurs, l’antiromanzo che Genet ha dedicato agli uomini che portano “il sacro segno dei mostri”. Altri ancora, paggi o drag queen, servi o travestiti, intraprendono una sfilata ironica e inquietante, modulando “in crescendo” la loro parte (una recensione a parte meriterebbero i costumi di scena, sofisticati e chiassosi, insieme alla truccatura che segna ancora di più certi sguardi affilati, certe beffarde espressioni).
Non esiste narrazione, come non esiste un centro: catene di relazioni e suggestioni fanno smarrire ogni direzione, finché, riuscendo sul piazzale, superflua ogni ragione, qualcosa sembra sciogliersi, la bolgia s’acquieta e rasserena; tutti gli spettatori sono chiamati a gettare in aria lettere di polistirolo, “per formare nuove parole, nuove frasi, nuove immagini”, e salutare la compagnia della Fortezza prima che intraprenda il viaggio di ritorno.

Come spiega Punzo Amleto e Alice raccontano, seppure con registri differenti, due modi di negarsi alla vita, di evitarne gli oneri e le responsabilità, ma soprattutto due modi di trasformarsi: «La trasformazione è la possibilità di sottrarsi al proprio ruolo definito per sempre». Ed è sempre un’esperienza cupa e violenta, capace di provocare qualcosa di simile a una vertigine, esattamente come questo spettacolo.
Nel pomeriggio di lunedì 26 luglio 2010, nella Casa di Reclusione di Volterra.


Hamlice – Saggio sulla fine di una civiltà
drammaturgia e regia Armando Punzo
con i detenuti attori della Compagnia della Fortezza
scene Alessandro Marzetti
costumi di scena Emanuela Dall’Aglio
musiche originali Andrea Salvadori
movimenti di scena - coreografie Pascale Piscina
disegno luci Andrea Berselli 
suono Alessio Lombardi

da Pisanotizie.it. 27 luglio 2010